Ecoo l'ultima parte dei temi di sfilata 2013:
BORGO VIATOSTO
San Giorgio a Viatosto: la traccia indelebile di una leggenda
Nel Medioevo la leggenda del soldato vincitore del drago, nata al tempo delle Crociate
(probabilmente influenzata dalla falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore
cristiano Costantino, rinvenuta a Costantinopoli, in cui il sovrano è raffigurato nell’atto di
schiacciare un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano»), contribuì al
diffondersi del culto di San Giorgio. Rapidamente egli divenne un santo tra i più venerati
in ogni parte del mondo cristiano.
Tra gli affreschi presenti all’interno della Chiesa di Viatosto – toponimo che, secondo
l’ipotesi formulata nel XIX secolo dallo storico Incisa deriverebbe dalla miracolosa
cessazione, in Asti, della peste degli anni Quaranta del Trecento – è rappresentato, nella
lunetta di sinistra del presbiterio, San Giorgio che uccide il drago (1380-1390),
raffigurazione coerente con il fatto , San Giorgio era invocato, tra l’altro, contro la peste.
Nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine si narra che un tempo, presso una città
chiamata Selem, in Libia, in un grande stagno, trovasse rifugio un drago, il quale,
avvicinandosi alla città, uccideva tutte le persone che incontrava, costringendo gli
abitanti ad offrirgli sacrifici umani per placarlo.
Il cavaliere Giorgio, saputo che anche la principessa di quel luogo era stata condannata al
sacrificio, promise di evitarle quella terribile morte e le disse di non aver timore e di
avvolgere la sua cintura al collo del drago, che prese a seguirla fin dentro la città. Giorgio
così si rivolse agli abitanti: «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se
abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re
e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla
città.
San Giorgio in lotta contro il drago, simbolo dell’eterna contesa tra bene e male, incarnò
per secoli gli ideali del mondo cavalleresco.
Il Borgo Viatosto raffigura il trionfo del cavaliere dopo l’uccisione del drago, il cui corpo
viene trasportato fuori dalla città.
BORGO TANARO
Bandiere per il Duca d’Orléans
L’8 aprile 1387 Luigi di Valois, fratello del re di Francia e duca di Turenna (dal 1392 duca
d’Orléans), riceveva formalmente la signoria sulla città di Asti e su tutta la Patria Astese, come
dote della futura sposa Valentina Visconti. Già nel maggio dello stesso anno l’apparato
amministrativo di quella che è nota ancora oggi come “signoria orleanese” si instaurava con
grande rapidità nel territorio astigiano, sovrapponendosi senza significative modifiche alla
struttura comunale, della quale conservava le magistrature , limitandosi a subordinarle
all’autorità di un governatore francese. Con altrettanta celerità fu intrapresa una notevole
serie di campagne edilizie e decorative atte ad imporre e celebrare la nuova signoria anche sul
piano visivo ed emblematico secondo la prassi diffusa nelle corti dell’epoca. Assai
interessante, ad esempio, è la realizzazione di un buon numero di bandiere che avevano il
compito di affermare la nuova identità statale. Nel novembre 1387 il pittore Giovanni
Imperato, già impegnato in precedenza in altri apparati decorativi, riceveva la considerevole
somma di 19 lire astesi per la pittura di dodici bandiere militari “…pro exercito nostro” : su sei
di queste campeggiava l’arma gigliata del duca Luigi, sulle altre sei il Biscione della sua
consorte Valentina Visconti. Assai più impegnativa e costosa, nel marzo successivo, fu la
realizzazione di tre grandi vessilli con lo stemma ducale “…per il palazzo del nostro signor
duca, in cui abita il signor governatore”. Grazie alle minuziose registrazioni della tesoreria
ducale, sappiamo che le tre bandiere richiesero ben 42 braccia di tessuto di zendale misto a
seta; dallo speziale Antonio Bellone furono acquistati l’oro battuto in foglia, la polvere d’oro,
la gomma arabica e gli altri materiali; infine il maestro ricamatore Cristoforo de Alemania si
occupò della faticosa realizzazione. Il palazzo del duca si estendeva un tempo ai piedi della
torre Troiana e le bandiere con ogni probabilità erano destinate a garrire sulla torre stessa, su
un’altra gemella poi scomparsa e sulla principale porta d’ingresso. Oltre alle bandiere
ricostruite secondo le indicazioni dei documenti, sfilano in corteo gli artefici che le
realizzarono e vengono messi in mostra i materiali impiegati.
COMUNE DI CASTELL'ALFERO
Un importante incontro sul “Ponte della Rotta”
Nel 1305 moriva Giovanni I, Marchese del Monferrato, dopo aver designato come suo
erede Teodoro, figlio di sua sorella Violante e dell’imperatore bizantino Andronico I
Paleologo. Teodoro, giunto a Genova da Costantinopoli, sposò Argentina, figlia di Opicino
Spinola, e si trasferì a Casale. Erano tempi difficili per il marchesato: molti possedimenti
erano stati occupati dal Marchese di Saluzzo e anche il Principe Filippo d’Acaja - da poco
divenuto Capitano del Comune di Asti - non nascondeva le sue mire sulle terre aleramiche.
Teodoro decise di ristabilire innanzitutto rapporti di alleanza con gli Astesi e incontrò una
loro delegazione, capeggiata proprio da Filippo d’Acaja, sul ponte della Rotta, presso
Grixano, nella vallata tra Portacomaro e Castell’Alfero, terra di confine tra Asti e il
Monferrato. Il Principe d’Acaja diede ampie rassicurazioni a Teodoro, anche se - tornato ad
Asti - tentò di convincere il Podestà e il Collegio dei Savi a non stipulare alcuna alleanza
con il Marchese. Ma gli Astesi furono di diverso avviso e decisero di mantenere l’impegno
preso con Teodoro.
Il corteo di Castell’Alfero ricorda lo storico incontro, avvenuto nel giorno di San Michele
(29 settembre) del 1306. Sfileranno il gruppo degli alfieri, scorta d’onore per rendere
omaggio ai due personaggi, la delegazione astese che accompagna il Principe d’Acaja
quella monferrina al seguito di Teodoro e, infine, preceduti dal vessillo di Castell’Alfero, i
notabili castellalferesi e i popolani accorsi per assistere all’evento.
RIONE SAN SILVESTRO
Recinto dei Nobili: aristocrazia, artigianato e commercio in Porta San Gaudenzio
“Le belle mura nuove” citate da Ogerio Alfieri a fine Duecento, pochi decenni più tardi sono
insufficienti a contenere la crescita di Asti, che ha necessità di provvedere all’ampliamento
murario difensivo prima con gli angioini e quindi dal 1342 con Luchino Visconti. Alla fine del
XIV secolo la città, tornata viscontea con Gian Galeazzo, viene da costui concessa come dote
alla figlia Valentina sposa di Luigi di Valois, fratello di Carlo VI re di Francia: i nuovi signori
subito si impegnano nel rilanciare l'economia cittadina ,sia attenuando gli oneri fiscali e le
servitù militari, sia migliorando l’urbanistica. Così il commercio rifiorisce: la cinta muraria
ormai raddoppiata divide la città in quattro quartieri, due nel "Recinto dei Nobili" (prima
cerchia di mura) e due nel "Recinto dei Borghigiani" (seconda cerchia). Ogni quartiere è
tripartito: tre Porte nel Recinto dei Nobili, tre Borghi in quello dei Borghigiani; Porte e Borghi
sono retti da due Rettori minuti (o Anziani o Consoli) e da un Capitano militare. Ogni Porta –
così come ogni Borgo – è suddivisa in quattro Contrade, ciascuna in grado di armare una
Bandiera (milizia popolare di venticinque uomini con propria insegna).
Il quartiere di Porta San Gaudenzio e San Michele (composto dall’estensione di San SilvestroSan Gaudenzio, da parte di San Giovanni della Fontana e di San Sisto e dall’estensione di San
Michele- San Maurizio, e da un tratto di Sant'Ilario e di Sant'Aniano) appartiene al grande
quartiere detto degli "Alborum" (‘dei Bianchi’ dal colore del vessillo di battaglia), definito
anche deversus Castrum (verso il Castello). La residenza dei vertici cittadini nel quartiere di
Porta San Gaudenzio richiama importanti famiglie che hanno interesse a stabilirsi vicine ai
palazzi “del potere”: Alfieri, Asinari, Guttuari, Malabaila, Pelletta, Solaro, Isnardi.
La presenza di un nucleo di famiglie affini e facoltose offre largo spazio ad una frenetica
attività mercatale e, tra caseforti e torri dei maggiorenti, compaiono laboratori, osterie, orti,
lavanderie, botteghe, officine, in una piccola società operosa. Nella vita e nell’economia di
quartiere, l’artigianato ed il commercio diventano i motori trainanti: si acquistano strumenti e
materie prime necessarie alla produzione, si lavora in ‘bottega’ con ‘garzoni’, si vende
direttamente al cliente, in un circuito virtuoso fra lavoro manuale, proprietà dei mezzi di
produzione e reimpiego produttivo dei ricavi derivanti dalla vendita. Per il Rione San Silvestro,
accanto ai maggiorenti sfilano le eccellenze professionali che ancora oggi rendono lustro
all’economia ed alle arti astigiane.
RIONE SAN PAOLO
Enrico VII di Lussemburgo concede privilegi al Comune di Asti nel Convento di San Francesco.
Un documento del Codex Astensis riporta i nomi degli autorevoli personaggi che il
giorno 8 dicembre 1310 furono testimoni in Asti, presso il convento di San Francesco
nel Rione San Paolo, alla pubblica lettura dell'importante privilegio con cui
l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo rendeva popolo e Comune di Asti
pienamente liberi di disporre dei diritti e della giurisdizione tradizionalmente
spettanti alla città. Erano presenti in tale occasione vescovi, principi e baroni fra cui
Guido vescovo di Asti, Filippo principe d’Acaja, lo stesso imperatore Enrico VII,
Amedeo V conte di Savoia, Andrea Garetti dottore in legge, i nobili astesi Domenico
Pelletta, Antonio Solaro e Corrado Malabaila. In detta adunanza Nicola Bonsignore
di Siena, primo Vicario dell'imperatore, proclamò ad alta voce che “l'imperatore
…approvava e ratificava i privilegi, le immunità, le franchigie, le donazioni, le
concessioni, gli usi, le consuetudini concessi dai suoi predecessori e ugualmente
donava e concedeva i diritti, la giurisdizione, il mero e misto impero, le terre, i
villaggi, gli uomini e i vassalli, le fedeltà e gli omaggi dei castelli, le fortezze che il
Comune e i cittadini possedevano in Asti e nel suo territorio”.
Nel corteo storico del Palio di Asti 2013 il rione San Paolo interpreta tale
avvenimento svoltosi nella cornice del prestigioso convento astigiano di San
Francesco. Sfilano la moglie dell'imperatore Margherita di Brabante - la quale
secondo il cronista astese del tempo Guglielmo Ventura “erat laudabilis, cattolica et
elemosinaria inter ceteras mulieres” (si distingueva tra le altre le donne per essere
ammirevole, religiosa, caritatevole) -; sua sorella Maria di Brabante, sposa di
Amedeo V di Savoia, e Isabella di Villehardouin, consorte di Filippo d’Acaja; fanno
ala intorno a loro le dame delle due famiglie astesi rivali, i Solaro e i De Castello,
riappacificate per opera dello stesso Enrico VII.
COMUNE DI NIZZA MONFERRATO
La peste – castigo di Dio
La diffusione di malattie infettive rappresentò una costante in tutto il medioevo. La situazione
sanitaria dei centri abitati e l’assenza di fognature certamente facilitavano lo sviluppo di grandi
epidemie, così come la vita famigliare in condizioni igieniche personali precarie, in spazi
abitativi circoscritti, con una notevole promiscuità tra persone ed animali. Topi e roditori in
genere erano diffusi nelle vie e nelle abitazioni.
Ma la “peste nera”, che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1353, fu un’autentica
pandemia e non risparmiò né Nizza della Paglia, né i borghi che la circondavano. Il male si
manifestava con barcollamenti, convulsioni, emorragie, tremori, lividi e bubboni ; i pochi medici
non conoscevano alcun rimedio, anzi preferivano essi stessi sfuggire ai rischi del contagio . La
medicina del tempo non andava oltre le fumigazioni con erbe aromatiche o l’eliminazione dal
corpo dell’humus negativo attraverso la pratica del salasso. Gli uomini, le donne, i bambini
morivano in pochi giorni e gli stessi famigliari abbandonavano gli ammalati per il terrore di
essere contagiati. Davanti a tanta impotenza e smarrimento prese corpo l’idea che la pestilenza
fosse un “castigo di Dio”, una punizione divina per la dilagante corruzione di costumi che
caratterizzava l’Europa del ‘300. Si formarono le prime compagnie dei flagellanti e si diffusero
pratiche devozionali che si manifestavano in preghiere continue, in processioni e nella
devozione assoluta a santi come San Rocco, ancora oggi presente nella nostra tradizione
contadina. Divenne consuetudine quasi ossessiva, per il ceto agiato, il testamento, che
consentiva di destinare alla Chiesa ingenti patrimoni. Si alimentò, in mancanza di conoscenze
scientifiche in merito alle cause reali di questa epidemia, la caccia al “diverso”: ne fecero
miseramente le spese streghe ed ebrei.
Come sempre dopo ogni momento di smarrimento, anche dopo la terribile “peste nera” tornò il
sereno sulla nostra Città e sulla nostra gente. Avviliti e decimati nella popolazione e nelle
risorse, i nicesi trovarono nel loro orgoglio e nel loro entusiasmo la voglia di costruire una
nuova vita, mentre la gioventù cresceva dopo la tragedia grazie alla tempra e alla tenacia di chi
era sopravvissuto ha saputo.
COMUNE DI SAN DAMIANO
Medioevo alla rovescia: la festa dei folli
Nel basso medioevo la Festa dei Folli, conosciuta anche come Asinaria festa o festum stultorum,
si svolgeva nel corso dei dodici giorni che intercorrevano tra il Natale e l’Epifania: in quel
periodo, riservato all’esaltazione del mondo alla rovescia, gli ultimi nella scala sociale
prendevano provvisoriamente il posto delle autorità costituite.
Il rifiuto delle regole e la contestazione dell’ordine sociale culminavano in cortei sfrenati, danze,
banchetti, doni e festeggiamenti, viatico di salute, ricchezze e felicità per il nuovo anno; spesso i
gruppi festanti si snodavano per le vie o sui sagrati delle chiese o delle cattedrali, guidati dai
diaconi e da alcuni membri del basso clero.
Gli Statuti di Asti, a differenza di altre città italiane, non prevedono norme o divieti volti a
limitare gli eccessi dei festeggiamenti durante le adunate dei folli. Ma anche se mancano
attestazioni per il periodo medievale, feste sregolate, collegate da un lato alle falloforie del
mondo romano, dall’altro al Carnevale, di certo non mancarono nel nostro territorio.
La Chiesa tentò invano di estirpare queste pratiche, condannando l’uso delle maschere, ritenute
“diaboliche mistificatrici” del volto dell’uomo, creato secondo la Bibbia a immagine e somiglianza
di Dio.
Le uniche maschere permesse dalla censura ecclesiastica raffiguravano il diavolo (monito per i
peccatori) o le allegorie dei mesi, delle stagioni, delle arti e dello scorrere della vita.
Personificazione della follia era il giullare (joculator) musico, giocoliere, cantore, acrobata o
buffone. Egli svolgeva prevalentemente la sua attività nelle piazze o per le contrade, ma spesso si
esibiva in occasione di eventi e conviti al cospetto di nobili e borghesi, in cambio di denaro e
ospitalità; presso le corti si soleva celebrare la festa dei folli con banchetti e doni rituali,
scambiandosi una corona, una sfera o un anello d’oro, per propiziare l’anno incipiente.
Il corteo rosso blu rievoca questo colorato evento rappresentando i riti e i personaggi della festa.
BORGO VIATOSTO
San Giorgio a Viatosto: la traccia indelebile di una leggenda
Nel Medioevo la leggenda del soldato vincitore del drago, nata al tempo delle Crociate
(probabilmente influenzata dalla falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore
cristiano Costantino, rinvenuta a Costantinopoli, in cui il sovrano è raffigurato nell’atto di
schiacciare un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano»), contribuì al
diffondersi del culto di San Giorgio. Rapidamente egli divenne un santo tra i più venerati
in ogni parte del mondo cristiano.
Tra gli affreschi presenti all’interno della Chiesa di Viatosto – toponimo che, secondo
l’ipotesi formulata nel XIX secolo dallo storico Incisa deriverebbe dalla miracolosa
cessazione, in Asti, della peste degli anni Quaranta del Trecento – è rappresentato, nella
lunetta di sinistra del presbiterio, San Giorgio che uccide il drago (1380-1390),
raffigurazione coerente con il fatto , San Giorgio era invocato, tra l’altro, contro la peste.
Nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine si narra che un tempo, presso una città
chiamata Selem, in Libia, in un grande stagno, trovasse rifugio un drago, il quale,
avvicinandosi alla città, uccideva tutte le persone che incontrava, costringendo gli
abitanti ad offrirgli sacrifici umani per placarlo.
Il cavaliere Giorgio, saputo che anche la principessa di quel luogo era stata condannata al
sacrificio, promise di evitarle quella terribile morte e le disse di non aver timore e di
avvolgere la sua cintura al collo del drago, che prese a seguirla fin dentro la città. Giorgio
così si rivolse agli abitanti: «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se
abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re
e la popolazione si convertirono, il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla
città.
San Giorgio in lotta contro il drago, simbolo dell’eterna contesa tra bene e male, incarnò
per secoli gli ideali del mondo cavalleresco.
Il Borgo Viatosto raffigura il trionfo del cavaliere dopo l’uccisione del drago, il cui corpo
viene trasportato fuori dalla città.
BORGO TANARO
Bandiere per il Duca d’Orléans
L’8 aprile 1387 Luigi di Valois, fratello del re di Francia e duca di Turenna (dal 1392 duca
d’Orléans), riceveva formalmente la signoria sulla città di Asti e su tutta la Patria Astese, come
dote della futura sposa Valentina Visconti. Già nel maggio dello stesso anno l’apparato
amministrativo di quella che è nota ancora oggi come “signoria orleanese” si instaurava con
grande rapidità nel territorio astigiano, sovrapponendosi senza significative modifiche alla
struttura comunale, della quale conservava le magistrature , limitandosi a subordinarle
all’autorità di un governatore francese. Con altrettanta celerità fu intrapresa una notevole
serie di campagne edilizie e decorative atte ad imporre e celebrare la nuova signoria anche sul
piano visivo ed emblematico secondo la prassi diffusa nelle corti dell’epoca. Assai
interessante, ad esempio, è la realizzazione di un buon numero di bandiere che avevano il
compito di affermare la nuova identità statale. Nel novembre 1387 il pittore Giovanni
Imperato, già impegnato in precedenza in altri apparati decorativi, riceveva la considerevole
somma di 19 lire astesi per la pittura di dodici bandiere militari “…pro exercito nostro” : su sei
di queste campeggiava l’arma gigliata del duca Luigi, sulle altre sei il Biscione della sua
consorte Valentina Visconti. Assai più impegnativa e costosa, nel marzo successivo, fu la
realizzazione di tre grandi vessilli con lo stemma ducale “…per il palazzo del nostro signor
duca, in cui abita il signor governatore”. Grazie alle minuziose registrazioni della tesoreria
ducale, sappiamo che le tre bandiere richiesero ben 42 braccia di tessuto di zendale misto a
seta; dallo speziale Antonio Bellone furono acquistati l’oro battuto in foglia, la polvere d’oro,
la gomma arabica e gli altri materiali; infine il maestro ricamatore Cristoforo de Alemania si
occupò della faticosa realizzazione. Il palazzo del duca si estendeva un tempo ai piedi della
torre Troiana e le bandiere con ogni probabilità erano destinate a garrire sulla torre stessa, su
un’altra gemella poi scomparsa e sulla principale porta d’ingresso. Oltre alle bandiere
ricostruite secondo le indicazioni dei documenti, sfilano in corteo gli artefici che le
realizzarono e vengono messi in mostra i materiali impiegati.
COMUNE DI CASTELL'ALFERO
Un importante incontro sul “Ponte della Rotta”
Nel 1305 moriva Giovanni I, Marchese del Monferrato, dopo aver designato come suo
erede Teodoro, figlio di sua sorella Violante e dell’imperatore bizantino Andronico I
Paleologo. Teodoro, giunto a Genova da Costantinopoli, sposò Argentina, figlia di Opicino
Spinola, e si trasferì a Casale. Erano tempi difficili per il marchesato: molti possedimenti
erano stati occupati dal Marchese di Saluzzo e anche il Principe Filippo d’Acaja - da poco
divenuto Capitano del Comune di Asti - non nascondeva le sue mire sulle terre aleramiche.
Teodoro decise di ristabilire innanzitutto rapporti di alleanza con gli Astesi e incontrò una
loro delegazione, capeggiata proprio da Filippo d’Acaja, sul ponte della Rotta, presso
Grixano, nella vallata tra Portacomaro e Castell’Alfero, terra di confine tra Asti e il
Monferrato. Il Principe d’Acaja diede ampie rassicurazioni a Teodoro, anche se - tornato ad
Asti - tentò di convincere il Podestà e il Collegio dei Savi a non stipulare alcuna alleanza
con il Marchese. Ma gli Astesi furono di diverso avviso e decisero di mantenere l’impegno
preso con Teodoro.
Il corteo di Castell’Alfero ricorda lo storico incontro, avvenuto nel giorno di San Michele
(29 settembre) del 1306. Sfileranno il gruppo degli alfieri, scorta d’onore per rendere
omaggio ai due personaggi, la delegazione astese che accompagna il Principe d’Acaja
quella monferrina al seguito di Teodoro e, infine, preceduti dal vessillo di Castell’Alfero, i
notabili castellalferesi e i popolani accorsi per assistere all’evento.
RIONE SAN SILVESTRO
Recinto dei Nobili: aristocrazia, artigianato e commercio in Porta San Gaudenzio
“Le belle mura nuove” citate da Ogerio Alfieri a fine Duecento, pochi decenni più tardi sono
insufficienti a contenere la crescita di Asti, che ha necessità di provvedere all’ampliamento
murario difensivo prima con gli angioini e quindi dal 1342 con Luchino Visconti. Alla fine del
XIV secolo la città, tornata viscontea con Gian Galeazzo, viene da costui concessa come dote
alla figlia Valentina sposa di Luigi di Valois, fratello di Carlo VI re di Francia: i nuovi signori
subito si impegnano nel rilanciare l'economia cittadina ,sia attenuando gli oneri fiscali e le
servitù militari, sia migliorando l’urbanistica. Così il commercio rifiorisce: la cinta muraria
ormai raddoppiata divide la città in quattro quartieri, due nel "Recinto dei Nobili" (prima
cerchia di mura) e due nel "Recinto dei Borghigiani" (seconda cerchia). Ogni quartiere è
tripartito: tre Porte nel Recinto dei Nobili, tre Borghi in quello dei Borghigiani; Porte e Borghi
sono retti da due Rettori minuti (o Anziani o Consoli) e da un Capitano militare. Ogni Porta –
così come ogni Borgo – è suddivisa in quattro Contrade, ciascuna in grado di armare una
Bandiera (milizia popolare di venticinque uomini con propria insegna).
Il quartiere di Porta San Gaudenzio e San Michele (composto dall’estensione di San SilvestroSan Gaudenzio, da parte di San Giovanni della Fontana e di San Sisto e dall’estensione di San
Michele- San Maurizio, e da un tratto di Sant'Ilario e di Sant'Aniano) appartiene al grande
quartiere detto degli "Alborum" (‘dei Bianchi’ dal colore del vessillo di battaglia), definito
anche deversus Castrum (verso il Castello). La residenza dei vertici cittadini nel quartiere di
Porta San Gaudenzio richiama importanti famiglie che hanno interesse a stabilirsi vicine ai
palazzi “del potere”: Alfieri, Asinari, Guttuari, Malabaila, Pelletta, Solaro, Isnardi.
La presenza di un nucleo di famiglie affini e facoltose offre largo spazio ad una frenetica
attività mercatale e, tra caseforti e torri dei maggiorenti, compaiono laboratori, osterie, orti,
lavanderie, botteghe, officine, in una piccola società operosa. Nella vita e nell’economia di
quartiere, l’artigianato ed il commercio diventano i motori trainanti: si acquistano strumenti e
materie prime necessarie alla produzione, si lavora in ‘bottega’ con ‘garzoni’, si vende
direttamente al cliente, in un circuito virtuoso fra lavoro manuale, proprietà dei mezzi di
produzione e reimpiego produttivo dei ricavi derivanti dalla vendita. Per il Rione San Silvestro,
accanto ai maggiorenti sfilano le eccellenze professionali che ancora oggi rendono lustro
all’economia ed alle arti astigiane.
RIONE SAN PAOLO
Enrico VII di Lussemburgo concede privilegi al Comune di Asti nel Convento di San Francesco.
Un documento del Codex Astensis riporta i nomi degli autorevoli personaggi che il
giorno 8 dicembre 1310 furono testimoni in Asti, presso il convento di San Francesco
nel Rione San Paolo, alla pubblica lettura dell'importante privilegio con cui
l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo rendeva popolo e Comune di Asti
pienamente liberi di disporre dei diritti e della giurisdizione tradizionalmente
spettanti alla città. Erano presenti in tale occasione vescovi, principi e baroni fra cui
Guido vescovo di Asti, Filippo principe d’Acaja, lo stesso imperatore Enrico VII,
Amedeo V conte di Savoia, Andrea Garetti dottore in legge, i nobili astesi Domenico
Pelletta, Antonio Solaro e Corrado Malabaila. In detta adunanza Nicola Bonsignore
di Siena, primo Vicario dell'imperatore, proclamò ad alta voce che “l'imperatore
…approvava e ratificava i privilegi, le immunità, le franchigie, le donazioni, le
concessioni, gli usi, le consuetudini concessi dai suoi predecessori e ugualmente
donava e concedeva i diritti, la giurisdizione, il mero e misto impero, le terre, i
villaggi, gli uomini e i vassalli, le fedeltà e gli omaggi dei castelli, le fortezze che il
Comune e i cittadini possedevano in Asti e nel suo territorio”.
Nel corteo storico del Palio di Asti 2013 il rione San Paolo interpreta tale
avvenimento svoltosi nella cornice del prestigioso convento astigiano di San
Francesco. Sfilano la moglie dell'imperatore Margherita di Brabante - la quale
secondo il cronista astese del tempo Guglielmo Ventura “erat laudabilis, cattolica et
elemosinaria inter ceteras mulieres” (si distingueva tra le altre le donne per essere
ammirevole, religiosa, caritatevole) -; sua sorella Maria di Brabante, sposa di
Amedeo V di Savoia, e Isabella di Villehardouin, consorte di Filippo d’Acaja; fanno
ala intorno a loro le dame delle due famiglie astesi rivali, i Solaro e i De Castello,
riappacificate per opera dello stesso Enrico VII.
COMUNE DI NIZZA MONFERRATO
La peste – castigo di Dio
La diffusione di malattie infettive rappresentò una costante in tutto il medioevo. La situazione
sanitaria dei centri abitati e l’assenza di fognature certamente facilitavano lo sviluppo di grandi
epidemie, così come la vita famigliare in condizioni igieniche personali precarie, in spazi
abitativi circoscritti, con una notevole promiscuità tra persone ed animali. Topi e roditori in
genere erano diffusi nelle vie e nelle abitazioni.
Ma la “peste nera”, che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1353, fu un’autentica
pandemia e non risparmiò né Nizza della Paglia, né i borghi che la circondavano. Il male si
manifestava con barcollamenti, convulsioni, emorragie, tremori, lividi e bubboni ; i pochi medici
non conoscevano alcun rimedio, anzi preferivano essi stessi sfuggire ai rischi del contagio . La
medicina del tempo non andava oltre le fumigazioni con erbe aromatiche o l’eliminazione dal
corpo dell’humus negativo attraverso la pratica del salasso. Gli uomini, le donne, i bambini
morivano in pochi giorni e gli stessi famigliari abbandonavano gli ammalati per il terrore di
essere contagiati. Davanti a tanta impotenza e smarrimento prese corpo l’idea che la pestilenza
fosse un “castigo di Dio”, una punizione divina per la dilagante corruzione di costumi che
caratterizzava l’Europa del ‘300. Si formarono le prime compagnie dei flagellanti e si diffusero
pratiche devozionali che si manifestavano in preghiere continue, in processioni e nella
devozione assoluta a santi come San Rocco, ancora oggi presente nella nostra tradizione
contadina. Divenne consuetudine quasi ossessiva, per il ceto agiato, il testamento, che
consentiva di destinare alla Chiesa ingenti patrimoni. Si alimentò, in mancanza di conoscenze
scientifiche in merito alle cause reali di questa epidemia, la caccia al “diverso”: ne fecero
miseramente le spese streghe ed ebrei.
Come sempre dopo ogni momento di smarrimento, anche dopo la terribile “peste nera” tornò il
sereno sulla nostra Città e sulla nostra gente. Avviliti e decimati nella popolazione e nelle
risorse, i nicesi trovarono nel loro orgoglio e nel loro entusiasmo la voglia di costruire una
nuova vita, mentre la gioventù cresceva dopo la tragedia grazie alla tempra e alla tenacia di chi
era sopravvissuto ha saputo.
COMUNE DI SAN DAMIANO
Medioevo alla rovescia: la festa dei folli
Nel basso medioevo la Festa dei Folli, conosciuta anche come Asinaria festa o festum stultorum,
si svolgeva nel corso dei dodici giorni che intercorrevano tra il Natale e l’Epifania: in quel
periodo, riservato all’esaltazione del mondo alla rovescia, gli ultimi nella scala sociale
prendevano provvisoriamente il posto delle autorità costituite.
Il rifiuto delle regole e la contestazione dell’ordine sociale culminavano in cortei sfrenati, danze,
banchetti, doni e festeggiamenti, viatico di salute, ricchezze e felicità per il nuovo anno; spesso i
gruppi festanti si snodavano per le vie o sui sagrati delle chiese o delle cattedrali, guidati dai
diaconi e da alcuni membri del basso clero.
Gli Statuti di Asti, a differenza di altre città italiane, non prevedono norme o divieti volti a
limitare gli eccessi dei festeggiamenti durante le adunate dei folli. Ma anche se mancano
attestazioni per il periodo medievale, feste sregolate, collegate da un lato alle falloforie del
mondo romano, dall’altro al Carnevale, di certo non mancarono nel nostro territorio.
La Chiesa tentò invano di estirpare queste pratiche, condannando l’uso delle maschere, ritenute
“diaboliche mistificatrici” del volto dell’uomo, creato secondo la Bibbia a immagine e somiglianza
di Dio.
Le uniche maschere permesse dalla censura ecclesiastica raffiguravano il diavolo (monito per i
peccatori) o le allegorie dei mesi, delle stagioni, delle arti e dello scorrere della vita.
Personificazione della follia era il giullare (joculator) musico, giocoliere, cantore, acrobata o
buffone. Egli svolgeva prevalentemente la sua attività nelle piazze o per le contrade, ma spesso si
esibiva in occasione di eventi e conviti al cospetto di nobili e borghesi, in cambio di denaro e
ospitalità; presso le corti si soleva celebrare la festa dei folli con banchetti e doni rituali,
scambiandosi una corona, una sfera o un anello d’oro, per propiziare l’anno incipiente.
Il corteo rosso blu rievoca questo colorato evento rappresentando i riti e i personaggi della festa.