BORGO SAN MARZANOTTO
Dai conventi alle botteghe: l’arte della miniatura, del ricamo e dell’arazzo
Le comunità religiose femminili, particolarmente numerose anche ad Asti, fin dall’alto Medioevo
offrivano alle donne un ambiente favorevole per esprimere le loro doti artistiche. Nei conventi
infatti le religiose, oltre che ricoprire il ruolo di amministratrici e insegnanti, erano impiegate come
bibliotecarie, scribe ed amanuensi.
Sono noti alcuni manoscritti copiati da donne che si erano ritirate nei monasteri e trasfondevano
nella miniatura quelle capacità che per ragioni sociali non potevano manifestare nella pittura su
tavola e ancor meno nell’affresco.
Particolarmente importanti furono, a partire dal X secolo, i ricami di indumenti liturgici che
venivano eseguiti con colori vivaci, impreziositi da smalti, perle, gemme lucenti su uno sfondo
intessuto d’oro e di seta. Altrettanto diffusa era la tessitura di arazzi e stoffe.
A partire dall’XI secolo fecero la loro comparsa anche ricamatrici professioniste non legate ai
monasteri. Dalla fine del Duecento crebbe la domanda di beni di lusso e si andarono formando
centri di produzione di manufatti di notevolissimo pregio. Nacquero botteghe, veri e propri atelier,
dove il maestro era affiancato da numerose maestranze che non di rado eseguivano i lavori su
disegno di pittori.
Oltre alla fortissima richiesta di paramenti e vesti liturgiche ricamate da parte degli ecclesiastici di
alto rango, si diffuse la moda di abiti ed ornamenti ricamati per le grandi occasioni, soprattutto per i
matrimoni nobiliari; anche i ceti più modesti non si facevano mancare, quando era possibile,
almeno un vestito ricamato.
Il gusto per il ricamo non si rivolgeva soltanto agli addobbi liturgici o agli abiti principeschi, ma a
tutto ciò che poteva essere ornato: dalle borse alle cinture, ai tessuti d’arredamento e soprattutto ai
“completi da camera”, a partire dal “capocielo”, e all’insieme di tendaggi posti a protezione del
letto, che addobbavano lussuosamente con tessuti di seta e d’oro e con arazzi le camere di dimore
signorili e principesche, dispiegandosi in abbondanti drappeggi coordinati con le coperte ed i
cuscini.
BORGO SAN PIETRO
Lo zodiaco e le influenze delle armonie cosmiche sull’ uomo e sull’ universo.
I simboli zodiacali del fastoso cornicione di Palazzo Catena, costituito da formelle in cotto
simulanti archetti trilobi, restano a testimoniare, unicum nel panorama decorativo
astigiano, come anche nella nostra città , nel basso Medioevo, fosse diffusa la
convinzione dell’influenza degli astri sulla vita e sulle attività degli uomini, sugli elementi
e sulle stagioni; la conoscenza delle armonie stellari era, inoltre, considerata
determinante per comprendere i caratteri psico-fisici delle persone e i loro stati d’animo.
Sulla base della coincidenza tra il numero degli Apostoli e quello dei segni zodiacali,
questi ultimi furono interpretati in senso cristiano così che, divenuti simboli della fede,
vennero raffigurati attorno alla figura del Cristo (Signore del cosmo e del tempo), mentre
la produzione di calendari illustrava la loro sequenza stagionale.
L’uomo diventava così un microcosmo a immagine e somiglianza del macrocosmo divino,
gli astri in base alle disposizioni zodiacali potevano influenzare il corpo e la mente e
l’astrologia si affermò come forma di conoscenza capace di dare spiegazione alla vita, alla
psiche e all’anima, utile a comprendere la verità del reale e a divinare il destino.
Una certa confusione tra astrologia e astronomia assimilava – quanto meno a livello
popolare – la figura dell’astrologo a quella dell’astronomo: l’astrologo compilava le
“effemeridi”, tavole che riportavano le posizioni dei pianeti giorno per giorno,
stabilendone così gli influssi, mentre la cosiddetta “astrologia giudiziaria” aveva compiti
di divinazione. L’astronomo invece, utilizzando l’astrolabio, localizzava e calcolava la
posizione dei corpi celesti.
Presente presso le corti, non esclusa quella papale, l’astrologo spesso esercitava
un’influenza determinante in scelte politiche e decisioni operative. In secoli in cui la
scienza si andava lentamente e faticosamente affrancando dalle pratiche magicoesoteriche era facile lasciarsi sedurre dal fascino di conoscenze occulte: come testimonia
la vicenda Fra Filippo di Revigliasco, cavaliere gerosolimitano, che dapprima si occupò di
astrologia, negromanzia e scienze alchemiche, mentre in seguito ricusò totalmente questi
interessi per morire in fama di santità.
RIONE SANTA CATERINA
La mazzochiaia e l’arte di esaltare la vanità femminile nell’acconciare i capelli
“Una testa per il giorno, una per la notte, una per le feste civili, una per le cerimonie
religiose, una per stare in casa, una per uscire e una per gli estranei…”
Così scriveva Stefano di Bordone, inquisitore domenicano del XIII secolo, condannando la
civetteria femminile che, in ogni tempo della storia e in ogni luogo della terra, si è espressa
con il vezzo di acconciare i capelli, creare copricapi di fogge e dimensioni diverse e ricercare
ornamenti per il capo allo scopo di esaltare la bellezza.
Nel XV secolo l’arte di adornare il capo assume la valenza di un vero e proprio codice
comunicativo che esprime il ceto di nascita e, per la donna, anche lo stato civile, rendendo
manifesta la sua dipendenza da un padre, da un fidanzato o da un marito.
Anche le nobildonne astigiane, si adornano con copricapi confezionati con tessuti preziosi, reti
gemmate e veli impalpabili dalle trame dorate. Si usano ghirlande di fiori freschi, di piume, di
velluto per rifinire un’acconciatura, reticelle d’oro e innumerevoli fili di perle per raccogliere
graziosamente folte chiome. Ne dà testimonianza Gugliemo Ventura, descrivendo le donne dei
Guttuari all’apice della potenza della famiglia: “ belle furono le loro mogli … le loro teste
erano coperte di preziosissimi gioielli”.
La capigliatura deve essere sempre e comunque “ben acconciata”: nessuna donna per bene
può permettersi di uscire di casa né di presentarsi in pubblico con i capelli sciolti sulle spalle,
fatta eccezione per le bambine.
Questa grande attenzione all’estetica del capello dà origine, verso la fine del Medioevo, ad una
professione – sia femminile, la mazzocchiaia, sia maschile, il maestro a far mazzocchi (dalla
denominazione di una imbottitura da nascondere e fissare tra i capelli per aumentarne il
volume) – che molto successo avrebbe riscosso nei secoli a venire fino ai giorni nostri.
Il corteo rosso celeste propone figure femminili che, diverse per censo ed età, sfoggiano
acconciature, curate dalle mani esperte della mazzochiaia, che esaltano la loro bellezza e
vanità …
RIONE CATTEDRALE
La famiglia Alfieri Tra origini leggendarie e avvenimenti storici
Nel secentesco Compendio Historiale della città di Asti di Guidantonio Malabaila si
narra come, durante la difesa di Roma contro i Goti, l'astese Arricino Moneta
riuscisse a recuperare l’insegna romana dell’Aquila, caduta in mani nemiche. Per
questo eroico gesto egli avrebbe ottenuto l’appellativo di Alfiere e il diritto di
fregiarsi dell’insegna dell’Aquila.
E’ tradizione che Arricino Moneta, mitico capostipite degli Alfieri - che da quel
remoto evento avrebbero tratto nome e insegna -, sia raffigurato in una lapide
all’interno della Cattedrale: questa mostra un uomo a cavallo di un destriero, sulla
cui gualdrappa sono raffigurati due scudi con il simbolo dell'aquila imperiale.
Gli Alfieri, una delle principali famiglie della nobiltà astigiana, devono la loro ascesa
sociale al prestito su pegno, esercitato nelle cosiddette ‘casane’, ed al commercio. Il
raggio di azione delle attività economiche di questa famiglia fu molto vasto: nel
Duecento gli Alfieri operano con grande successo in Borgogna, in Savoia a Friburgo
e nei Paesi Bassi ove si dedicano al commercio, ma soprattutto alle attività creditizie.
Contestualmente altri membri curano gli interessi di famiglia nel territorio astigiano,
annoverando tra la propria clientela istituzioni di primo piano quali il Capitolo della
Cattedrale di Asti.
Alla famiglia Alfieri, sempre presente nella vita pubblica astigiana, appartennero
personaggi di rilievo nella politica cittadina del basso medioevo: basti citare
Guglielmo Alfieri, credendario, sapiente e ambasciatore, Ogerio Alfieri responsabile
dell'archivio comunale e redattore della famosa Cronica, Bertramino Alfieri, uno dei
14 savi che approvarono lo statuto della società dei Militi: numerosi furono i
magistrati, gli uomini d’arme, gli ambasciatori.
Il corteo del rione Cattedrale ha come protagonista questa ricca e nobile famiglia
che ha contribuito a rendere grande Asti nel medioevo.
BORGO DON BOSCO
Nuove eroine per l'immaginario medievale
Se nel 1312 Jacques de Longuyon, nel suo Voeux du paon, elaborò per la prima volta il
ciclo dei “Nove Prodi” per celebrare le virtù e gli ideali del mondo cavalleresco, nel 1373 il
parigino Jehan Le Fèvre ne definì l’esatto contraltare femminile, destinato ad avere
un’enorme fortuna sia in campo letterario sia in quello delle arti figurative. In un periodo
di dominante misoginia, scrisse il Livre de Lëesce per dimostrare come le donne siano più
audaci, coraggiose e virtuose degli uomini. Ispirandosi a romanzi antichi e al De claris
mulieribus di Giovanni Boccaccio, ad imitazione speculare dei “Nove prodi” compilò un
catalogo di nove eroine leggendarie che rappresentavano una visione cortese e
cavalleresca della mitologia e della storia antica. Tale catalogo fu prontamente ripreso da
Eustache Deschamps, da Christine de Pizan e da Tommaso di Saluzzo, diventando fonte
d’ispirazione per straordinari capolavori nell’ambito della cultura artistica del Gotico
internazionale. Ad esempio, già nel 1396 Luigi d’Orléans signore di Asti commissionava il
ciclo delle Nove Eroine per il salone del castello di Pierrefonds, e nel 1399 fece realizzare
statue monumentali di analogo soggetto per decorare la facciata del castello di La Ferté-
Milon. Se il ciclo dei Nove Prodi rappresentò l’apoteosi dell’ideologia cavalleresca, quello
delle Nove Eroine tentò di arginarne la crisi culturale. Alla fine del Trecento la cavalleria,
ormai decaduta dal suo ruolo militare, vide messi in discussione anche i suoi ideali
‘maschilisti’ e reagì al declino rifugiandosi nella fantasia e nel sogno, con una fuga dalla
realtà a cui le donne furono invitate a partecipare da protagoniste e non più da semplici
gregarie. Il ciclo prevedeva nove regine: Semiramide sovrana di Babilonia, indomabile
guerriera e inventrice dei giardini pensili; Tamaris, regina dei Massageti, che sconfisse e
uccise in battaglia Ciro re dei Persiani; Teuca, regina degli Illiri, che morì lottando contro i
romani per preservare la libertà del suo popolo; Deifila, moglie del re di Argo che
sconfisse la potente Tebe. Ad esse si aggiungono le inquietanti figure delle cinque regine
delle Amazzoni: Sinope, Ippolita che combatté contro Ercole, Antiope amante di Teseo,
Lampeto e Pentesilea alleata dei Troiani contro i Greci e morta per mano di Achille.
Gli Scarampi signori di Canelli
La famiglia degli Scarampi è una delle più antiche del patriziato astese.
Esercitò un’intensa attività creditizia della quale si avvalsero i conti sabaudi dal 1297 al 1381 ; ricevette,
inoltre, privilegi commerciali dai Re di Francia e di Navarra che considerarono gli Scarampi “burgenses” e
non “stranieri”. Rimasero tuttavia legati alla proprietà fondiaria e furono destinatari di investiture di feudi, da parte sia del Comune o dei Signori di Asti, sia del Marchese del Monferrato, sia dei Savoia.
Dal 1329 feudatari di Vinchio, Montaldo e Mombercelli, più tardi furono investiti di Cortemilia, Canale, Olmo, Roccaverano, Bubbio, San Giorgio, Monastero, Cairo, Proney, fregiandosi anche del titolo di marchesi.
Nel 1462 agli Scarampi è assegnato in feudo dal Duca Carlo d’Orléans, discendente dei Visconti-Orléans, Signore di Asti, “Villa et locum et posse Canellarum Patriae Astensis” (città, territorio e possedimenti di Canelli d’Asti).
Vivo, forte ed interessante sarà il legame culturale del Duca, alta espressione della poesia rinascimentale francese, e della corte orléanese, con esponenti femminili degli Scarampi.
La nobile famiglia eccelleva, dunque, non solo sul piano commerciale, ma anche per sensibilità culturale. Fin dal XIII secolo, inoltre, fu molto attiva nella vita politica: Guglielmo fu Podestà di Genova nel 1264, Filippo fu sostenitore acceso del ghibellinismo in Asti all’inizio del Trecento, Francesca Maria, contessa di Canelli, sarà tesoriera e successivamente (1610) governatrice di Asti, agendo con diplomazia e determinazione in coerenza con il motto araldico della famiglia: “ Modus et ordo” (capacità e ordine).
Il Comune di Canelli rievoca l’omaggio di benvenuto ai nuovi feudatari preceduti nel corteo dalle chiavi della Città e dalla bolla di dedizione e seguiti dal popolo che offre i prodotti del proprio lavoro, con doviziosi omaggi. Secondo il rituale, i doni simbolici agli Scarampi seguono, nella presentazione offertoriale, un ordine propiziatorio: il pane ed il sale dell’ospitalità, le pregiate uve delle colline, il bianco vino apprezzato alla corte di Francia, cesti di prodotti dell’orto, tessuti e ricami con le insegne. Il tutto come augurio di buon governo e di prosperità per il popolo.
COMUNE DI MONTECHIARO
1381: Patti tra Montechiaro e Gian Galeazzo Visconti
Il 24 aprile 1381 ad Asti nel palazzo dei Troya, sede del capitano Gaspardo de Ubaldinis vennero
stipulati patti e convenzioni tra il comune di Montechiaro e il plenipotenziario di Gian Galeazzo
Visconti signore di Asti, Jacopo Dal Verme.
Tali patti, fortemente connotati in senso anti-astigiano, erano articolati in 29 capitoli che
prevedevano, tra l’altro, l’amnistia per i banniti – i destinatari di un provvedimento di esclusione
dalla comunità – e significative agevolazioni fiscali. Agli abitanti di Montechiaro fu concesso,
inoltre, di rivedere il proprio catasto, di solvere fodro et talea dicto comuni Monteclaro, cioè di
trattenere gli introiti fiscali anziché corrisponderli agli Astigiani, in chiara contrapposizione con
quanto prescritto degli Statuti di Asti; agli ufficiali sia viscontei , sia astigiani fu vietato di
imporre pedaggi ai mercanti che si fossero recati a Montechiaro in occasione della fiera.
Il corteo storico bianco-celeste vuole rappresentare alcuni dei personaggi citati nel documento:
Jacopo Dal Verme delegato da Gian Galeazzo Visconti, il capitano Gaspardo de Ubaldinis, il
podestà di Montechiaro, i referendari, i rappresentanti del comune di Montechiaro che trattarono
con il plenipotenziario visconteo, i banniti, il notaio, le dame e infine i portacolori.