Incominciamo oggi la rassegna dei primi sette temi del Corteo Storico 2013.
Il Rione San Martino San Rocco intende ricordare con una festosa parata la storica vittoria conseguita nella precedente edizione della corsa che “secondo consuetudini antiche, da lungo tempo in uso”, si svolge ogni anno in nome di San Secondo, protettore e patrono della città di Asti. Borghigiani d’ogni stirpe accompagnano a piedi il vessillo e ciascuno esibisce nelle vesti e nelle acconciature il bianco e il verde, colori
RIONE SAN MARTINO SAN ROCCO
Una storica vittoria
Il Rione San Martino San Rocco intende ricordare con una festosa parata la storica vittoria conseguita nella precedente edizione della corsa che “secondo consuetudini antiche, da lungo tempo in uso”, si svolge ogni anno in nome di San Secondo, protettore e patrono della città di Asti. Borghigiani d’ogni stirpe accompagnano a piedi il vessillo e ciascuno esibisce nelle vesti e nelle acconciature il bianco e il verde, colori
risveglio della natura e quindi rappresenta la speranza e l’immortalità. Segue il carro della Vittoria, su cui viene portato in trionfo l’ambito premio, il Palio, detto anche “bravio”, secondo un’antica denominazione citata in un documento risalente alla metà del XV secolo, in cui si fa riferimento alle somme spese dal governo orleanese per la corsa: ai mercanti astigiani De Lupis vennero pagate 345 lire per l’acquisto di quaranta palmi di velluto celeste per due “bravii” o palii, di cui uno offerto alla chiesa di San Secondo della città di Asti e l’altro attribuito “al cavallo migliore e più veloce nella corsa”. Il documento riporta altre voci di spesa: per l’acquisto di un raso e mezzo di tela blu, per dipingere sui drappi le insegne del duca Carlo d’Orléans, signore di Asti; per l’oro e l’argento posto su quattro insegne di tela e su tre di carta dipinta. Ancora, per due lance, tre mazzi di corde, un bastone con bottoni per i “bravii” e un gallo che “per antica consuetudine viene dato al cavallo che arriva secondo nella corsa”. Infine si pagano tre paia di guanti per i trombettieri, una borsa e gli speroni per i paggi o cavalieri.
Nel corteo si distinguono alcuni membri delle famiglie nobili del rione, appartenenti a diverse consorterie, le cui residenze costituiscono il cuore di questa parte della città: hanno abbandonato la tradizionale compostezza che si addice al loro lignaggio e partecipano con viva allegria alla baldoria generale. L’entusiasmo e l’esultanza del momento danno vita ad un movimentato corteo, in cui ciascuno è libero di inventare il proprio ruolo, al di fuori di ogni schema precostituito. La festa si concluderà con l’offerta del drappo ai santi patroni, San Martino e San Rocco, nelle rispettive chiese, addobbate con sfarzo di broccati e profusione di fiori, ove si svolgeranno solenni cerimonie di ringraziamento.
Donne alla riscossa: il “Livre de la Cité des Dames” di Christine de Pizan
uno dei testi più importanti della
letteratura medievale e costituisce una pietra miliare nel lungo
percorso dell’emancipazione
femminile. In esso si dimostra per la prima volta che uomini e
donne posseggono le stesse capacità
intellettuali : solo l’educazione li differenzia e costringe le
donne a posizioni subalterne. Christine
de Pizan è considerata la prima scrittrice europea
“professionale”, in grado di vivere
del proprio lavoro: le sue grandi capacità le avevano fatto
ottenere l’appoggio e la committenza
di Luigi d’Orléans, fratello del re di Francia e signore di
Asti. Nel libro l’afflitta Christine,
stanca e sfiduciata per l’accanimento misogino dei suoi
contemporanei, riceve la visita di tre
dame misteriose, che si presentano con i nomi di Ragione,
Rettitudine e Giustizia. Costoro la
confortano, la consolano e la invitano alla riscossa. Le tre
dame accompagneranno Christine nella
costruzione di una nuova città-fortezza, che diventerà
un luogo di rifugio per le donne
virtuose di ogni epoca e condizione sociale e che “non sarà mai
distrutta né decadrà”, resistendo
nei secoli agli attacchi di quegli uomini definiti da Ragione
come i suoi invidiosi nemici.
Dama Ragione, per prima cosa, indicherà
a Christine il sito destinato ad accogliere il nuovo
insediamento, la fertile pianura
chiamata “Campo delle Lettere”. Poi la guiderà nel costruirne le
fondamenta, invitando le donne a
munirsi di zappe per rimuove dalla terra le pietre nere e
grossolane del pregiudizio e
dell’ignoranza. In seguito dama Rettitudine si occuperà di
costruire i
templi e i palazzi della città,
utilizzando marmi nitidi e splendenti portati dalle più grandi ed
esemplari figure femminili del passato.
A questo punto dama Giustizia provvederà al
popolamento della nuova città,
riunendovi tutte quelle donne che si devono definire “dame”
non per i nobili natali, ma per
l’altezza dello spirito, degli ideali e delle capacità: un elevato
numero di sante, eroine,
poetesse, scienziate e regine, delle
quali Christine illustra virtù ed imprese, proponendole come
esempio dell'enorme e indispensabile
potenziale creativo che le donne sono in grado di offrire
alla società. Tra queste, figura anche
Valentina Visconti, moglie del duca Luigi d’Orléans e
Signora di Asti e della patria Astese.
Le sacre rappresentazioni: la visione medievale della lotta tra il bene e il male.
Angeli, Demoni e Apocalisse nell’immaginario popolare.
Nell’immaginario medioevale si incrociavano rivelazioni e visioni, spesso risultato dell’incrocio tra
credenze religiose e pratiche magiche. In particolare l’Apocalisse di Giovanni fornì un cospicuo
repertorio di immagini utilizzate per indurre il fedele a pentirsi dei propri peccati, in vista di una
imminente fine del mondo. Nell’iconografia venivano sovente raffigurati i quattro cavalieri
dell’Apocalisse (bianco, rosso, nero, verde) che appaiono dopo l’apertura dei primi quattro sigilli
da parte dell’Agnello, Gesù Cristo. Il cavaliere bianco simboleggia l’Anticristo, quello rosso la
guerra, il cavaliere nero la carestia e quello verde rappresenta la morte, ed è apportatore di peste,
epidemie e contagi. Se l’Apocalisse è una visione terrificante che descrive la Chiesa in lotta
contro Satana, il lato luminoso dell’immaginario medievale è costituito dagli angeli, protettori e
difensori degli esseri umani, che ne invocano l’aiuto. Agli angeli si contrappongono i demoni,
rappresentati in diversi atteggiamenti: tentano i Santi con sussurri insidiosi, assumono sembianze
capaci di suggestionare lo spirito umano, suscitano gli affetti sia durante il sonno sia nella veglia,
eccitano il corpo, inducendolo ad amori illeciti. Possono essere soggiogati solo dai Santi, che
impongono loro di lasciare libero l’uomo e li imprigionano negli abissi della terra.
Presenti nelle prediche, che infiammavano gli animi dei fedeli specie durante la Quaresima, visioni
apocalittiche, angeli e demoni sono motivi ricorrenti sia negli affreschi sia nelle sculture che
decorano le chiese romaniche astigiane, dall’abbazia di Vezzolano a San Secondo in Cortazzone.
Il Comune di Baldichieri intende rievocare la visione della lotta tra bene e male, angeli e demoni,
ben presente anche nell’immaginario degli abitanti del contado astese.
COMUNE DI MONCALVO
Un territorio senza capitale: la corte itinerante dei Monferrato
BORGO SANTA MARIA NUOVA
COMUNE DI MONCALVO
Un territorio senza capitale: la corte itinerante dei Monferrato
Moncalvo fu uno dei centri principali del Marchesato del Monferrato ed il suo
castello, sede di Corte, costituiva uno dei più grandi complessi fortificati del
Piemonte. Quella dei Marchesi del Monferrato fu a lungo una Corte itinerante;
anche se questa caratteristica andò attenuandosi con l’affermarsi della dinastia
Paleologa, i Marchesi erano soliti, per mantenere un più efficace controllo del
territorio, muoversi sistematicamente all’interno dei loro possedimenti , tra Valenza,
Moncalvo, Pontestura, Montiglio e Asti, allorché nel XIV secolo, la città fu per breve
periodo soggetta ai Paleologi di Monferrato.
La necessità di spostarsi frequentemente - e nello stesso tempo di mantenere uno
stile di vita adatto al rango - si rifletteva sulla tipologia dei manufatti e degli arredi
delle dimore marchionali; questi, infatti, dovevano unire al lusso la caratteristica di
poter essere trasportati con facilità.
Particolarmente adatto a questo scopo fu l’arazzo, accessorio d’arredo ,che vide
un’ampia diffusione a partire dalla metà del XIV secolo e che assolveva anche alla
funzione di difendere gli ambienti dal freddo. Non mancavano poi nel “corredo da
viaggio” dei Marchesi e della loro Corte, oltre a manufatti di uso quotidiano, anche
libri, strumenti astrologici, tappeti e, per le necessità dell’anima, reliquie ed oggetti
sacri.
Nel periodo di permanenza dei Marchesi, ogni castello del territorio doveva
trasformarsi velocemente in un ambiente lussuoso ed accogliente, ove ospitare la
Corte e ricevere personalità di alto lignaggio.
BORGO SANTA MARIA NUOVA
L' arte della falconeria
La caccia con i rapaci è di origini antichissime e viene fatta risalire agli Egizi. Nel
medioevo la praticò con grande passione Federico II di Svevia che, avvalendosi
anche del consiglio di valenti falconieri arabi, dedicò ad essa il trattato De arte
venandi cum avibus. La falconeria, che richiedeva l’impiego di cavalli e cani e si
svolgeva su aree molto estese, coinvolgendo un numero elevato di aiutanti, era una
vera disciplina di élite riservata esclusivamente ai sovrani e all’aristocrazia.
Di questa pratica, diffusa presso tutte le corti medievali, ad Asti resta testimonianza
nel pavimento musivo della Cattedrale, cha data al XII secolo; la falconeria è citata
nella Divina Commedia, nel Decamerone, nei racconti del Novellino e nella Cronica
di Giovanni Villani; intorno al 1290 anche Marco Polo la descrive alla corte di Kublai
Kan. Abili falconieri erano i Cavalieri Ospitalieri; ed anche le donne potevano
praticarla. Prova del prestigio di questa pratica è l’istituzione alla corte di Francia
della figura del Gran Falconiere: Luigi d'Orléans, signore della contea di Asti e in
seguito re di Francia con il nome di Luigi XII, elesse a questa carica Olivier Sallard,
signore di Burron. Suo compito, oltre all'organizzazione ed alla gestione
dell'allevamento dei rapaci, era scegliere e acquistare i volatili, che nel XV secolo
potevano raggiungere anche il valore di 20 scudi d'oro.
Nel Quattrocento si prediligeva la caccia a volo alto con i falchi pellegrini soprattutto
per la cattura di altri volatili. Il falconiere durante la caccia teneva il rapace sul pugno
protetto da robusti guanti in cuoio. Falchi, falconi, aquile e gufi vengono portati
incappucciati da uno chaperon, un apposito cappuccio che li isola da stimoli visivi
durante l'acclimatamento o l'addestramento. Robuste strisce di cuoio avvolgono le
zampe dei rapaci appena sopra i rostri. Spesso, alle zampe sono legati anche un
campanellino segnaletico e una striscia colorata identificativa.
Le “masche” nel medioevo astigiano: fattucchiere e fate
che indicava l’anima di un morto, era prevalentemente utilizzato per indicare streghe e
fattucchiere. Con questa valenza è già utilizzato nell’editto di Rotari nell’anno 643 e nel XII
secolo da Gervasio da Tilbury.
Nella tradizione medioevale piemontese le Masche erano donne apparentemente normali, ma
dotate di facoltà sovrannaturali tramandate da madre in figlia. Avevano il potere della
trasformazione in animali considerati negativi come gatti (perseguitati insieme alle padrone),
capre, pecore e bisce. Venivano incolpate di eventi naturali infausti come le grandinate (masche
tempestarie) e disgrazie, quali sparizioni di bambini e malattie. Numerose le leggende sui
metodi dell’ammascamento degli uomini, sedotti dalle grazie di queste donne che potevano
cambiare aspetto. Nella nostra tradizione frequentavano la chiesa e ricevevano i sacramenti
come tutte le altre donne della comunità, ma poi durante la notte compivano magie e sortilegi
grazie a formule e incantesimi contenuti nel Libro del Comando.
Di indole raramente malvagia, ma sempre capricciosa, dispettosa e vendicativa, le Masche
potevano anche operare il bene come guaritrici e protettrici.
Queste “Masche buone” nell’iconografia tradizionale appaiono molto simili alle fate: di
sovraumana bellezza, vestono lunghi abiti variopinti e venivano identificate con gli animali
tradizionalmente docili (colombe, farfalle, cervi). Erano invocate per la protezione e la
guarigione di bambini, uomini ed animali. Amate o temute da nobili e popolani, venivano
contrastate con pozioni alla malva, tenute a distanza dai filati delle vergini e da amuleti religiosi
e profani come croci, sacchetti di sale e ferri di cavallo arroventati oppure propiziate con rami
fioriti.
Mentre questo aspetto solare delle Masche, pur tramandato dalla tradizione, non è attestato
nelle fonti astigiane, il timore per il lato oscuro del sovrannaturale è documentato dagli Statuti:
il Codice Catenato al Cap. capitolo CVII (“Exterminandam de civitatis Astensis posse et districtu
diabolicam affatturariorum et affatturariarum operationem et doctrinam”) condanna
fattucchiere, streghe e maghi, che, scoperti, erano puniti con la tortura e il rogo.
Il Borgo San Lazzaro intende rievocare queste figure che rappresentavano il lato magico e
fiabesco della donna medioevale e i numerosi rimedi che la popolazione utilizzava per
esorcizzarle o evocarle.
Beatrice contessa di Provenza e l’alleanza con gli Astesi
Nell’anno 1263, Carlo I d’Angiò allora Conte di Provenza mirava a impadronirsi del
Regno di Sicilia, spinto a ciò anche da papa Urbano IV. Radunato un gran numero di
cavalieri, grazie al sostegno economico del Pontefice, si diresse a Roma per ottenere
l’investitura regia; mentre Carlo viaggiò via mare con 20 galee, il grosso dei suoi
cavalieri lo seguì via terra e, transitando per il Piemonte, sostò ad Asti.
Con i cavalieri del futuro Re viaggiava Beatrice ,contessa di Provenza, giovane e bella
moglie di Carlo, al quale nel 1246 aveva portato in dote la Contea di Provenza
ereditata dal padre Raimondo Berengario IV. Arrivando ad Asti, sia Beatrice sia le
dame che si erano offerte di accompagnarla a Roma per rendere omaggio al Re,
furono accolte con omaggi ed eleganti discorsi. Lungo le vie di Asti si affollarono
spettatori entusiasti per assistere al passaggio del corteo formato dai cavalieri, dalla
Contessa e dal suo grazioso seguito di dame e damigelle, elegantemente abbigliate
con vesti di velluto, broccati e damasco su cui campeggiavano ricchi ornamenti di
pietre preziose.
Il Dottore in leggi Nicola dei Dusii indirizzò un elegante discorso di benvenuto a e alla
sua partenza, la Contessa di Provenza fu salutata da Baldovino Malabalia, che la
ringraziò per la cortesia usata nei confronti degli Astigiani , nel procurar loro
l’amicizia di Carlo. Beatrice, prima di allontanarsi, volle stringere alleanza con la Città
di Asti.