giovedì 21 giugno 2018

I Temi del Corteo storico 2018 - Santa Caterina, Santa Maria Nuova e Montechiaro

Foto di Francesco Sciutto - www.francescosciutto.com
Continua quest'oggi, mantenendo la sua cadenza giornaliera, la presentazione dei Temi del Corteo storico del Palio di Asti 2018. Nelle prossime righe andremo a scoprire cosa verrà rappresentato il prossimo 2 settembre dal Rione Santa Caterina, dal Borgo Santa Maria Nuova e dal Comune di Montechiaro.

Tutti i temi, poi, verranno inseriti nell'apposita sezione della pagina del menù "Verso il Palio...2018", così da restare sempre consultabili e a portata di click in qualunque momento.


RIONE SANTA CATERINA

FESTEGGIAMENTI IN ASTI IN OCCASIONE DEL PASSAGGIO DI ARRIGO VII TRA LE MURA CITTADINE

Correva l’anno 1310 e Asti ghibellina, come ci racconta il cronista Guglielmo Ventura, accoglieva festante l’imperatore Enrico VII, l’ ”alto Arrigo” ricordato da Dante, che nel corso del suo viaggio diretto a Roma per ottenere l’incoronazione toccò i principali centri dell’Italia centro settentrionale.
La sua presenza aveva lo scopo di restaurare l’autorità imperiale nell’Italia del nord pacificandola dopo un periodo di forti tensioni.
Egli ridimensionò la preminenza guelfa, ordinò che fossero riammesse nelle città le famiglie ghibelline esiliate e affidò il governo a propri vicari affinché governassero e amministrassero la giustizia conferendo pace e stabilità.
La famiglia dei nobili Roero, schierata politicamente con i ghibellini e per questo motivo esiliata dalla città dalle forze guelfe, con l’intenzione di esprimere all’Imperatore la sua gratitudine per la fine dell’esilio e il tanto desiderato rientro tra le mura cittadine, decise di organizzare grandi festeggiamenti in suo onore.
I festeggiamenti prevedevano ricchi banchetti e svaghi di ogni tipo per tutti i partecipanti.
In epoca medievale infatti, il banchetto ricopriva molteplici significati. Con esso si ricambiavano favori  politici ricevuti, si ristabilivano alleanze e dominazioni, si ostentavano ricchezze e si onoravano ospiti importanti.
L’abbondanza del cibo offerto rispecchiava la ricchezza della famiglia nobile che lo aveva allestito: sulle ricche tavole imbandite vi erano arrosti, selvaggina condita con spezie ricercate e costose, pesci, minestre, miele e salse dai sapori più diversi. Completavano il clima di festa musiche e danze, saltimbanchi, cantastorie, giocolieri del fuoco con le loro divertenti esibizioni.



BORGO SANTA MARIA NUOVA

L’INVESTITURA A CAVALIERE

La Cavalleria come ideale di vita e codice di condotta del guerriero a cavallo è un fenomeno tipico dell’età medievale.
Anche  Asti, come i maggiori centri dell’Italia settentrionale, risente della nuova cultura cortese proveniente dalle regioni della Champagne e della Borgogna, che esalta i valori cavallereschi: fin dal 1250 esiste in Asti una “Societas Militum” e negli Statuta Revarum viene menzionato il dazio per le lance da giostra; i simboli dell’investitura cavalleresca compaiono anche nella statua di San Secondo, addobbato da perfetto cavaliere tardo trecentesco.
Il giovane figlio del nobile che ambiva a diventare cavaliere doveva intraprendere un percorso impegnativo: all’età di sette anni abbandonava l’ambiente familiare per il tirocinio presso un “signore” che terminava, compiuti i ventuno anni, con l’investitura a cavaliere. La cerimonia di adoubment (addobbamento) era solenne: solitamente a Pasqua o a Pentecoste si teneva la “Benedictio Novi Militis”, durante la quale l’uomo in armi dichiarava fedeltà ai principi etico-religiosi della Cavalleria. L’aspirante cavaliere la sera prima si raccoglieva in meditazione: mentre le armi giacevano sull’altare egli vegliava, s’immergeva in un bagno purificatore, poi vestiva la clamide bianca ed entrava nella cappella dedicata a San Martino o San Giorgio e pregava. Al mattino avveniva la consacrazione: gli venivano consegnate la spada, gli speroni ed il cinturone e quindi pronunciava il giuramento del cavaliere.
E’ quest’ultima parte della cerimonia che viene rappresentata nel corteo storico: alla presenza delle autorità civili e religiose, il giovane paggio è in attesa dell’investitura; gli fanno corona altri giovani cavalieri che portano le insegne di san Giorgio e san Maurizio, gli speroni, la spada ed il cinturone, lo scudo. Seguono i nobili della casata con alcune dame che portano la veste bianca ed il mantello rosso usati dal cavaliere per la “veglia d’armi”.



COMUNE DI MONTECHIARO

DE ARTE VENANDI CUM AVIBUS

Il trattato De arte venandi cum avibus, relativo alla caccia praticata con l'ausilio di uccelli rapaci, opera di Federico II di Svevia antecedente al 1248, è una delle opere più significative del Medioevo, testimonianza sia della passione totalizzante che egli nutrì per l'ars della caccia con i rapaci, elevata a filosofia di vita sia della sua profonda cultura naturalistica concepita nel rispetto del rapace.
Esperto e grande conoscitore dei questa nobile arte fu anche Carlo di Valois-Orléans (1394-1465) figlio di  Luigi di Valois-Orléans e di Valentina Visconti. Divenne duca d'Orléans dal 1407 e erede al trono di Asti – in  seguito all'assassinio del padre – sul quale fece un timido tentativo di far valere il proprio diritto successorio, prima di dedicarsi al ruolo di mecenate delle arti, tra cui la caccia.
Le cacce dei re rappresentavano occasioni per manifestare la magnificenza degli apparati delle corti, grazie alle lussuose escursioni nelle grandi riserve popolate di selvaggina e a esibizioni – in presenza di ospiti di alto rango – di superbe mute di cani, di sapienti capicaccia, di cacciatori provetti.
Falchi, cani, falconieri sono come diretti da un grande regista, l'imperatore Federico II, esperto conoscitore dei segreti dell'ars venandi, così come dell'arte di governare gli stati e i popoli. La morte prematura dell’Imperatore interruppe la stesura del trattato: lo trovò incompiuto il figlio Manfredi, che a sua volta intervenne sul  testo lasciandoci la straordinaria testimonianza di un codice miniato tra i più noti e amati del nostro Medioevo. Donato infine nel 1622 dal duca Massimiliano di Baviera a papa Gregorio XV è attualmente conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.