lunedì 22 agosto 2011

Gli "assassini" e quel "pane duro sette croste"

A Siena li chiamano "assassini" parola di certo non molto nobilitante ma che in qualche modo inquadra un po’ il rapporto, molto complesso tra i fantini e il borgo, rione, comune o contrada che si affida a loro per coronare i propri sogni di vittoria durante il Palio. Sono loro i veri protagonisti della Festa, sono loro che in buona sostanza reggono le fila di quello che è il Palio.

I loro soprannomi, che per il regolamento del Palio sono obbligatori nel momento in cui un nuovo fantino esordiente scende sulla pista per la prima volta, sono un concentrato di leggenda e anche di saggezza popolare, alcuni di questi sono conosciuti a tutti, anche ai non esperti di Palio: troviamo Aceto, Bucefalo, Massimino, Il Pesse.

Altri soprannomi sono più strani, quasi a sottolineare una peculiarità fisica o del carattere: Sergio Ruiu, chiamato "il Professore” a causa di quel suo comportamento un po' distaccato che lo differenziava così tanto da tutti gli altri fantini, vincitore due volte per San Paolo nel 1978 e nel 1979, oppure Renato Magari, chiamato “Il Biondo” a causa della sua lunga chioma, vincitore per Montechiaro nel 1981.

In altri soprannomi, la fantasia galoppa ancora di più e si trovano nomi strani e divertenti: Andrea Mari “Brio” per il suo carattere esuberante, poi Gingillo, Brucignolo, Canapino, Cianchino, Ciancone, Trecciolino, Cianchino, Bastiano, Tittia.

La memoria riporta alla mente anche altri fantini, magari un po' più indietro negli anni: ricordiamoRosario Pecoraro detto “Tristezza”, vincitore della terza edizione della nostra festa nel 1969 per San Pietro ( suo fratello Antonio, tra l'altro, la prima volta che corse nel Palio di Siena venne ironicamente ribattezzato “Sorriso”), poi Spingarda, al secolo Rinaldo Spiga, o il mitico Giovanni Manca, soprannominato “Gentleman”. A volte i soprannomi possono cambiare in base all'avverrarsi di questo o quel fatto: è il caso di Claudio Bandini, ribattezzato da “Leone” a, con ironia un po' cinica “Batticuore”, dal giorno in cui durante una corsa un arresto cardiaco lo colse sulla pista.

I fantini sono mercenari, su questo non c’è dubbio: è capitato vedere di frequente fantini vendersi e comprarsi a vicenda durante le lunghe permanenze al canapo in attesa di una finale, ma si è anche visto tanti fantini capaci di gesti di generosità, di ardore quasi estremo, a volte per imporsi più con il cuore che con il cervello.

E’ il caso di Mario Cottone, "Truciolo" fantino spesso tormentato ma anche di una bravura riconosciuta pure dai suoi più accaniti detrattori: non ci penso due volte, per due Palii di fila, quando correva per il comune di Moncalvo, a buttarsi tra gli zoccoli dei cavalli scalpitanti al canapo per sciogliere le briglia alla sua cavalla, Rapsodia, che vinceva i palii solamente senza il proprio fantino.

"Ho corso sempre con il cuore – ci aveva confidato in una intervista – e quello che avevo fatto, anche se a molti poteva sembrare un imbroglio, imbroglio non era, perché il Palio è una corsa diversa dalle altre, dove per vincere puoi usare anche l'intelligenza e l' astuzia per arrivare primo al traguardo".

Truciolo aveva vinto con questo escamotage due palii nel 1994 e nel 1995 e se li ricorda ancora come i più belli della sua vita: "Soprattutto quello del 1995 – ricorda – è stato uno dei Palii più belli della mia vita: l'ho vissuto intensamente con Gaetano (Guarino, all'epoca rettore di Moncalvo ndr) e tutti i giorni e tutte le sere eravamo in scuderia per progettare questa corsa, che alla fine, doveva essere una sorta di beffa nei confronti di tutti gli altri venti partecipanti".

C'è chi combatte con l'astuzia, e poi c'è chi ci mette il cuore: è il caso, per arrivare ad esempi più recenti, di Jonathan Bartoletti, fantino di Santa Caterina, che ha subito una squalifica lunga anni e uno stop forzato alla sua carriera per obbedire agli ordini del proprio rione, che in quel momento dicevano di fermare il fantino rivale della Torretta verso il Palio, uno dei favoriti quell’anno per il drappo.

Certo, "il pane del Palio è duro sette croste" come diceva una volta tale Salvatore Ladu detto "Cianchino" altro fantino che ad Asti non ha avuto la fortuna che meritava. Quanti sono i fantini che magari armati di buone possibilità hanno visto sfumarsi una carriera davanti agli occhi per un Palio sfortunato, una curva presa male, un cavallo che non “imbroccava” la corsa come i borghigiani volevano.

Il Palio è un pane duro perché il Palio è tutto fuorché una gara corretta, dove tutto il lavoro di un anno può sfumare in un secondo, in una curva, come è capitato a Massimo Coghe "Massimino" al Palio 2007, beffato all’ultimo giro da una cavalla scossa, Impera di San Secondo.

A volte è il fantino a pagare in prima persona il suo fallimento: la passione e l’impeto di certi borghigiani, il giorno del Palio, travalica molte barriere, e non sono stati pochi quelli che hanno dovuto lasciare la piazza scortati dalle forza pubblica.

Sono personaggi strani, i fantini, che vivono costantemente a contatto con questo circo un po’ matto e schizofrenico che è quello dei Palii.

E poi c'è lui, il più grande di tutti. Una volta ha detto di sè: "Esistono persone di eccezionale talento. Io lo ero". Con questo laconico commento stiamo parlando di Andrea Degortes, detto Aceto, uno dei fantini i più importanti del '900.

Con lui gli aneddoti e le leggende si sprecano. Su di lui a volte la realtà a volte si esagera, a volte si mitizza. Aceto, che in queste cose era un campione non solo sulla pista, le raccontava grosse, e tanti ancora non capiscono se quelle che diceva erano fanfaronate oppure no: rimane famoso, per esempio, quel Palio di Siena corso, a detta sua, con sotto la casacca il giubbotto antiproiettile.

A volte i fantini non stanno simpatici proprio a tutti.