sabato 4 aprile 2015

Palio 2015, ecco i temi del corteo storico 3)



Finisce oggi la disamina dei temi storici del Palio 2015:




BORGO TANARO TRINCERE TORRAZZO 
 Il valore delle donne nel medioevo dalla Corte di Francia alla Città delle Dame

 “Questa città riunisce tutte le donne: non solo il rifugio di voi tutte, ma anche la difesa e la guardia contro i vostri nemici ed assalitori, se ben la difenderete”. Così scrive Christine de Pizan agli albori del ’400. Una donna di cultura che Giovanni di Borgogna compensò con la ragguardevole somma di 100 scudi per la composizione di due opere: il Livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V (una biografia di Carlo V) e Avision Christine. Alla regina Isabella di Baviera dedica, invece, gli scritti relativi alla disputa sul Roman de la Rose e la Lettre a Isabelle de Bavière; ma soprattutto è grazie alla protezione della stessa Isabella che Christine de Pizan elabora il Libro della città delle Dame, dedicato alle donne che, nel passato, si sono distinte nelle scienze, nella filosofia o sono state esempi di onestà, coraggio, rettitudine. Sono proprio tre simboliche figure femminili a sollecitare la costruzione della città delle Dame: Ragione, Rettitudine e Giustizia. Tre dame «dal portamento maestoso», avvolte da «un fascio di luce», capaci di rischiarare l’ambiente «come un raggio di sole». La Ragione, espressione figurata del pensiero, in grado di superare le false credenze, di costruire le fondamenta di un nuovo sapere e di istruire l’uomo nelle arti e nella guerra; la Rettitudine, capace di insegnare il buon comportamento, la morale, il coraggio; la Giustizia, equa giudice degli stessi uomini. Il corteo – richiamandosi anche al racconto del cronista astigiano Ogerio Alfieri, che esalta la bellezza delle donne astesi – raffigura il nucleo di questa immaginaria città fortificata, abitata da regine, guerriere, poetesse, indovine, scienziate, martiri, sante, una città ove le stesse donne educano gli uomini a un atteggiamento rispettoso.



COMUNE DI SAN DAMIANO 
Il culto dei santi protettori nella devozione medievale

 Il corteo rosso blu intende rievocare l’importanza che assunse nel basso medioevo la devozione per i santi e per i martiri della cristianità, tramandata nei secoli per mezzo delle agiografie, delle leggende auree e dei martirologi, che narravano le vite, le vicende e i miracoli dei primi cristiani. La tomba o le reliquie del santo costituivano i principali oggetti del culto e il giorno della sua morte era ricordato dal calendario liturgico; ai santi patroni venivano dedicate cappelle, chiese, ed altari, le raffigurazioni dei santi ritratti singolarmente o entro più ampi cicli di leggende ornavano i luoghi sacri. Una venerazione particolare era riservata a Maria, madre di Gesù e di tutti i santi: il culto della Madonna, detto iperdulìa, era considerato di livello superiore alla venerazione (dulìa) riservata agli altri santi. Il patronato di un santo veniva scelto dalle corporazioni, dalle associazioni dei mestieri e da alcune categorie sociali: San Giorgio proteggeva i cavalieri, San Francesco i mercanti, Sant’Agostino i teologi, San Luca i giudici e i notai, San Biagio i lanaioli, Sant’Elisabetta le partorienti, Sant’Agnese le vergini, Santa Cecilia i musicanti, San Benedetto gli agricoltori, San Martino i viandanti, i Santi Cosma e Damiano i medici e gli speziali. I santi venivano invocati per guarire o per conservare la parte del corpo in cui avevano sofferto il martirio: Santa Lucia, cui vennero tolti gli occhi, diventò la protettrice della vista; Santa Apollonia veniva invocata contro il mal di denti, che le erano stati strappati durante il supplizio; a Sant’Agata ci si rivolgeva contro le malattie del seno; contro la peste bubbonica venivano invocati San Rocco, San Sebastiano e Sant’Antonio. Si credeva che i frammenti dei resti mortali dei corpi dei santi, contenuti nei reliquiari, potessero compiere guarigioni miracolose, far scomparire le epidemie, propiziare piogge che mettessero fine alla siccità o compiere interventi che allontanassero guerre e saccheggi. Per questo motivo grande era la richiesta di reliquie: per rispondere alle esigenze dei fedeli, la Chiesa considerò reliquie dei santi anche la stoppa o l’olio bruciati sulla loro tomba, brandelli degli abiti e perfino la limatura ricavata dai supposti strumenti di martirio. Il corteo rappresenta le raffigurazioni dei santi con alcune delle preziose reliquie custodite nelle teche e negli ostensori, tra cui quelle della Vergine e dei santi patroni Cosma e Damiano, a cui è dedicata una delle principali chiese del paese, costruita per volere degli abitanti nel XV secolo a testimonianza dell’antica devozione.



 BORGO SAN MARZANOTTO 
I mille volti della donna nel medioevo: tra purezza e superstizione 

Fisicamente deboli, moralmente fragili, le donne erano considerate nel Medioevo creature da proteggere dagli altri ma anche da se stesse. Di alto lignaggio o di umili origini, la loro nascita provocava nei padri l’angoscia per la dote. Apparentemente timida e riservata, la donna medievale viveva tutta la sua vita in sudditanza all’interno di una società che era prettamente maschilista. Le fanciulle di nobili natali trascorrevano le loro giornate accanto alle madri per apprendere i segreti della vita matrimoniale che le avrebbe attese e nel contempo imparare a diventare esempio di virtù per le donne dei ceti inferiori. La superiorità sociale concessa loro da Dio le obbligava ad un rispetto, almeno apparente, delle rigide regole morali dell’epoca. Le cronache del tempo non fanno mistero del fatto che, man mano che si scendeva nella scala sociale, i valori si stemperavano, si diluivano le norme e si allentava la disciplina; era pertanto necessario che dame e principesse impersonassero il modello di virtù a cui rifarsi. Tra mito e leggenda, a protezione della classe nobiliare si ponevano le armate, vergini guerriere di sangue reale dal poderoso coraggio che, in rare circostanze, si armavano e sostituivano i cavalieri preposti alla difesa, impersonando le celebri Amazzoni dell’immaginario collettivo. Nella città di Asti, si registra la presenza di bellissime ricche dame, appartenenti alle varie casate magnatizie, fregiate di ornamenti d’oro e d’argento e di vesti sontuose. La popolazione rurale femminile era di fatto la più numerosa, nelle campagne del contado le donne erano dedite alla cura della prole, della casa ed alle attività ad essa connesse. In presenza o meno di autentiche vocazioni, alcune fanciulle delle famiglie magnatizie astigiane erano indirizzate nei monasteri, come quello urbano di Sant’Anastasio, dove pur vivendo in isolamento e dedite alla preghiera conducevano una vita agiata in luoghi ritenuti sicuri. Incatenate per il sospetto di malefici e sortilegi, le streghe, o fattucchiere, per lo più vedove o donne di umili origini, erano oggetto di persecuzioni che culminavano spesso in torture e condanne al rogo; i segni indicatori di stregoneria erano gatti neri, capelli rossi e un neo nell’iride dell’occhio ritenuto segno del diavolo.



COMUNE DI CASTELL’ALFERO
Quadri di vita femminile in epoca medievale 

Nel mondo medievale la donna occupava una posizione subordinata rispetto a quella dell’uomo. Popolana, borghese o aristocratica, poteva contare su un’aspettativa di vita media di poco superiore ai 30 anni, messa a rischio da ripetute e sempre rischiose gravidanze che spesso ne causavano la morte precoce. Più ancora che per l’uomo, per il destino della donna la condizione economica era determinante: sin dalla più tenera età la bambina veniva istruita alla vita che la aspettava, il matrimonio o in alternativa il convento. Qualunque fosse il suo status sociale, doveva attenersi a uno stile di vita irreprensibile, salvo incorrere nella pubblica riprovazione e in pene anche molto severe. Peraltro, anche se oggetto di condanna sociale, la prostituzione era molto diffusa, tollerata e opportunamente regolamentata per evitare che fosse fonte di disordini. Uno status speciale era riservato alla vedova benestante: se – come ad Asti – poteva disporre dei propri beni dotali, era sua facoltà decidere se risposarsi o meno. Il comune di Castell’Alfero rappresenta cinque “quadri” di vita femminile: la bambina, il matrimonio, il convento, la prostituzione, la vedovanza. La bambina: in tenera età le bambine iniziavano il percorso formativo che le avrebbe portate al matrimonio. Le piccole aristocratiche venivano educate dalla Dama del Castello. Il matrimonio: l’età minima per sposarsi era dodici anni; le ragazze venivano date in sposa ad un uomo prescelto dal loro genitore. Una volta sposate, passavano dalla tutela paterna a quella del marito. Il convento: per le ragazze non destinate al matrimonio per vari motivi – è il caso della mancanza di una dote – una soluzione poteva esser rappresentata dalla scelta del velo. Anche in convento, dove le differenze sociali dovrebbero essere annullate, diverse erano le possibilità di queste monache ‘forzate’: le donne di umili origini erano destinate ai servizi, mentre quelle appartenenti alle famiglie più ricche avevano la possibilità di coltivare gli studi. La prostituzione: si configurava come l’unico mestiere che una donna priva di altre risorse può esercitare. La vedovanza: costituiva una condizione che permetteva alle donne di gestire una propria autonomia.



RIONE SAN MARTINO SAN ROCCO 
Cibo e gusto: il banchetto dei nobili nel Medioevo 

Il banchetto, pasto solenne al quale partecipavano numerosi convitati, svolgeva un ruolo importante nella vita medioevale: le arti figurative attestano che non era riservato solo alle classi sociali più elevate, ma anche a quelle più povere. Vi era, però, un’importante differenza tra il nobile e il popolano: quella del numero delle "feste". Se i contadini dovevano attendere il Carnevale, la Pasqua e il giorno del Santo Patrono, per interrompere l’austero rigore dell’alimentazione quotidiana, i nobili potevano, invece, cogliere ogni occasione familiare, militare o politica. In Italia l’arte del cucinare toccò vette senza pari in Europa, sia per la fusione dei gusti dolce e salato nelle varie portate, sia per la presentazione teatrale dei piatti: alla corte dei signori, infatti, nei banchetti, che si succedevano l’uno all’altro con cadenze quanto meno mensili, prevaleva la volontà di far mostra dei cibi e dei modi di nutrimento più fastosi. Sebbene la Chiesa imponesse di astenersi dalla carne e da tutti i prodotti animali ogni settimana, il mercoledì, il venerdì, il sabato, la vigilia delle feste e durante la Quaresima, anche nei giorni di penitenza non si rinunciava ai conviti, limitandosi soltanto a sostituire la carne con il pesce. Prima dell’inizio del banchetto e a fine pasto i nobili si lavavano le mani con acqua versata da ancelle, abluzione suggerita non solo da evidenti ragioni di pulizia personale, ma anche dal carattere sacrale del banchetto. Il cibo veniva di solito portato alla bocca con le dita e poiché i convitati non disponevano di salviette, si asciugavano direttamente sulla tovaglia, mentre le bevande venivano servite dai numerosi paggi che circondavano la tavola: difficile immaginare un banchetto senza vino, bevanda inebriante da consumarsi con moderazione e sempre tagliata con acqua. I bambini partecipavano solo eccezionalmente ai banchetti solenni e solitamente, nelle pause tra una portata e l’altra, i commensali erano intrattenuti da canzoni, danze e spettacoli circensi.



RIONE SAN SILVESTRO
 Il cibo e la tavola ai tempi di Valentina Visconti 

Il Rione San Silvestro, nell'anno dedicato all’alimentazione nel mondo con l’EXPO 2015 di Milano, propone curiosità e aneddoti della vita intorno alla tavola dei nobili del Castelvecchio e del popolo delle taverne, delle osterie, delle botteghe, adiacenti a Porta San Gaudenzio e Porta San Michele e anticamente comprese nella zona intorno al castello. Colori, suoni e sapori eccellenti che resero celebre Asti e la Corte Viscontea e facilitarono scambi commerciali e culturali tra le popolazioni. Aromi, ortaggi, frutta, carni, prodotti alimentari raffigurati con perizia artistica, culinaria e medica dall’architetto e maestro del gotico internazionale Giovannino de’ Grassi nel Tacuinum Sanitatis creato per la corte viscontea. Si scopre così l'uso dello zafferano sul riso in sostituzione della polvere d’oro, onde evitare malori ai commensali, come avvenne nel pranzo nuziale di Violante Visconti con il Duca di Clarence nel 1368. Le pignoccate, dolci simili ai seicenteschi “caritin”, venivano preparate dalle Confraternite con impressa un’immagine sacra, o - come citato nella descrizione del pranzo in occasione dell’investitura a Duca di Gian Galeazzo nel 1395 - con impresso lo stemma col biscione visconteo da un lato e dell’Imperatore Venceslao dall’altro. L’acciuga sotto sale, diffusa grazie ai collegamenti della Via Francigena, e la celebre e saporita “bagna cauda”, forse derivante dal “garum”, salsa d’origine romana. Le uve ed il moscato delle Terre Astesi apprezzato alla corte Reale Francese, come testimoniano le lettere patenti di re Luigi XII, nipote di Valentina. Le stoviglie e gli arredi della tavola, tra cui la forchetta, citata nel corredo che Valentina porta in Francia alla Corte del cognato Re Carlo VI. Attori e borghigiani Oro-Argento accompagneranno gli osservatori in un viaggio tra galateo, gusti e curiosità eno-gastronomiche dell’Asti Viscontea. Una galleria di volti, personaggi, profumi, che evidenzieranno la poliedricità della vita medioevale e le differenze di abitudini tra nobili, borghesi e popolani.



BORGO TORRETTA 
Il giuramento dei mestieri 

Come nella maggior parte delle città europee, durante il Medio Evo anche ad Asti sorsero e si affermarono numerose associazioni per regolamentare e tutelare coloro che esercitavano una stessa attività o mestiere. In Italia esse furono di volta in volta definite Arti, Corporazioni, Gremi, Fraglie o Paratici. Gli Statuti di Asti (coll. IV, cap. 12) definiscono societates le organizzazioni delle attività artigianali, mentre collegia erano dette quelle delle professioni. Ogni associazione aveva propri statuti e propri organismi di rappresentanza, al cui vertice era il “Rettore” nominato annualmente dall’assemblea degli iscritti. Contrariamente ad altre località come Firenze, Novara o Vercelli dove le Corporazioni furono cooptate nella gestione del potere, ad Asti esse rimasero escluse dalla dialettica politica, relegate in un ruolo subordinato rispetto alle istituzioni di governo. Rimasero quindi mere associazioni di categoria, che da una parte tutelavano i propri iscritti sia nei reciproci rapporti inter-professionali sia nei confronti degli enti pubblici e del fisco, dall’altra garantivano la tutela della qualità dei manufatti e la correttezza e l’affidabilità delle prestazioni professionali. Per questo motivo ogni anno le associazioni dovevano prestare solenne giuramento nelle mani del Podestà, mediante il quale gli aderenti si impegnavano al rispetto degli standard qualitativi previsti dai regolamenti interni e dagli Statuti comunali. Per verificare che la formula del giuramento fosse redatta nell’interesse e per il vantaggio dell’intera comunità, e per evitare che vi fossero inserite norme contrarie al dettato statutario, i rettori delle associazioni dovevano ogni anno presentarne copia alla corte podestarile, in un documento (‘breve’) che veniva esaminato ed approvato dai Giudici di Giustizia. Gli Statuti trecenteschi impongono tale obbligo alle organizzazioni più prestigiose e a quelle con il maggior numero di aderenti, e cioè il Collegio dei medici e speziali, quello dei mercanti e quello dei cambiavalute; e le societates dei pellicciai, beccai, sarti, calzolai, orafi, fabbri, tessitori, tavernieri, fornai e panettieri, fornaciai, muratori. Nel corteo della Torretta sfilano i Rettori dei Collegi e delle societates con le proprie insegne, portando il “breve” del giuramento alla corte del Podestà, accompagnati da donzelle le quali recano oggetti che rappresentano le diverse attività.