Sono stati resi noti i temi del corteo storico del Palio di Asti.
RIONE SANTA CATERINA
La vittoria sul peccato: conquista dei virtuosi
Nell’eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce – principio di bontà – e la tenebra – dominio del maligno – l’uomo medievale era convinto di poter sconfiggere definitivamente il male elevando la propria anima verso Dio attraverso la conoscenza, l’illuminazione e l’allontanamento dalle tentazioni terrene. Si riteneva che asceti, mistici, beati e santi si fossero elevati dalla corruttibilità della materia avvicinandosi a Dio e che avessero sconfitto il maligno percorrendo un cammino lungo e impervio: avevano infatti dovuto combattere contro ogni sorta di tentazioni, morali e comportamentali, che, secondo numerose e antiche tradizioni culturali e religiose, venivano identificate nei sette peccati capitali. Come narra, per esempio, la celeberrima Legenda aurea, opera agiografica duecentesca di Jacopo da Varazze, illustre domenicano che fu priore del convento astigiano e in seguito arcivescovo di Genova, la vicenda di Santa Caterina, vissuta nei primi secoli dell’era cristiana, rientra pienamente in questo modello di santità, poiché subì il martirio per essersi opposta con straordinaria forza d’animo alle lusinghe mondane in nome della propria incrollabile Fede. Il corteo rosso-celeste, nel ricordare la vittoria del palio, celebra Santa Caterina trionfante sul peccato espresso in tutte le sue forme.
RIONE SAN PAOLO
Gli stemmi e i simboli del rione San Paolo
Il rione San Paolo, nella sfilata storica del Palio di Asti 2015, presenta e interpreta i colori che lo contraddistinguono: l’oro che, tra le virtù spirituali, simboleggia fede, clemenza, temperanza e giustizia e, tra quelle mondane, è segno di gaudio, splendore, sovranità e nobiltà; il rosso che, tra le virtù spirituali, rappresenta amore verso Dio e il prossimo e giustizia, mentre, tra quelle terrene, indica fierezza, autorità, coraggio e fortezza. Questi due colori sono sempre stati presenti sugli stendardi del Rione e costituiscono lo sfondo dei vari simboli che si sono succeduti negli anni. Sono invece mutate nel tempo le figure simboliche che ornano gli stendardi: nel primo stendardo campeggiava l’emblema imponente del grande apostolo San Paolo, protettore del rione, il quale reca la spada che rappresenta la parola di Dio e il libro che racchiude i suoi insegnamenti. Questo primo stemma fu sostituito, come si vede nel secondo stendardo, da un braciere ardente di fuoco vivido. Il fuoco è un frammento di sole sulla Terra, è energia che genera luce, risveglia l’animo umano, è trasformazione e distruzione che purifica e rigenera: tra le virtù, rappresenta la fede, la carità e la giustizia nonché l’amore, la nobiltà e lo splendore. Nel terzo stendardo compare, circondato da fiamme guizzanti, uno scudo portante i colori oro e rosso divisi da merlatura. Lo accompagnano gli stemmi di alcune nobili casate astesi che nel Rione San Paolo avevano le proprie residenze: i Solaro, i Guttuari, i Catena, gli Alfieri e gli Astesano. Nel nuovo vessillo, alla sua prima uscita in sfilata, è rappresentata l’araba fenice, il mitico uccello che risorge dalle proprie ceneri e simboleggia la forza vitale che mai muore, ma si rinnova continuamente dalle avversità.
COMUNE DI NIZZA MONFERRATO
Il Re di Francia Carlo VIII soggiorna al convento francescano della Madonna delle Grazie in Nizza della paglia
“CAROLUS VIII FRANCORUM REX CRISTIANISSIMUS HOSPITIUM IN LOCO ISTO DIVINAE MARIAE GRATIARUM ACCEPIT SUB DIE QUARTADECIMA MENSIS JULII ANNO DOMINI 1495” . Grazie all’iscrizione sopra ricordata, apposta su una parete del convento francescano di Santa Maria delle Grazie di Nizza, ci è stato tramandato che «Carlo VIII, cristianissimo Re dei Franchi, fu ospitato in questo luogo […] il giorno 14 del mese di luglio dell’anno del Signore 1495». Proprio tra il 1494 e il 1495, la produzione agricola nella Valle del Belbo fu straordinaria, tanto da far pensare a lunghi giorni di prosperità e benessere per le popolazioni e al rinvigorimento dei commerci che vi avevano sede o che transitavano sulle strade di fondovalle. Una speranza ben presto delusa dall’esercito di Carlo VIII che, sceso in Italia per affermare i propri diritti sul Regno di Napoli, venne battuto da una compatta lega antifrancese. Dopo la sconfitta di Fornovo, le truppe di Carlo ripiegarono verso la sicura Contea di Asti attraversando la Valle del Belbo e, accecate dall’onta della sconfitta e dal desiderio di rivalsa, distrussero campi e coltivazioni, abitazioni e magazzini, abbatterono le fortezze di Sezzé ed Alice ed incendiarono i paesi di Bergamasco e Castelnuovo d’Incisa. È in questo contesto che, nell’estate del 1495, Carlo VIII compì lo stesso mesto percorso del suo esercito, inseguito, quasi braccato, senza pubblici onori, ma senza essere attaccato. Il giorno precedente il suo ingresso in Asti, soggiornò in Nizza della Paglia: per evitare interferenze sul piano diplomatico con i Signori del Monferrato, cui Nizza era legata, chiese ed ottenne ospitalità presso il Convento dei Frati Francescani (Minori Osservanti) di Santa Maria delle Grazie. Fuori dall’ufficialità, esponenti della Comunità Nicese non mancarono di rendere omaggio al Sovrano di Francia, pretendente al Ducato di Milano: fra questi, la famiglia del Podestà Gian Giacomo Ripa da Mirabello e con essa i rappresentanti dei casati più in vista, che colsero volentieri l’occasione per esibire di fronte al Sovrano – e ad una corte francese, milanese ed astese – il proprio prestigio mercantile e imprenditoriale. Un’occasione senza insegne, sfarzo o parate militari, nella quale Nizza non mancò di mettere in evidenza capacità diplomatiche e fierezza.
BORGO SANTA MARIA NUOVA
Carlo d’Orléans poeta dell’amor cortese
Nel 1440, dopo una prigionia di 25 anni in Inghilterra, Carlo, duca d’Orléans e signore di Asti, fu liberato e, insieme alla terza moglie Maria di Clèves, rientrò in Francia. Qui, nel castello di Blois, diede vita a una corte letteraria frequentata da poeti, tra i quali François Villon, così come da nobili astigiani. Carlo è considerato uno dei poeti lirici francesi più importanti del XV secolo: numerosi scritti, raccolti in un codice in parte autografo, rinnovano temi, moduli e personificazioni allegoriche - raffinati e preziosi, ma ormai logori e stereotipati - della tradizione cortese, in voga fin dal XII secolo nella Francia meridionale. È qui che si erano sviluppate le prime “Corti d’Amore” - strettamente legate all’istituzione della cavalleria e all’amor cortese - nel corso delle quali, con meccanismi ricalcati su quelli giudiziari, venivano discussi diritti e doveri inerenti a questioni d’amore. Nacquero contemporaneamente i “bestiari amorosi”, che si ispiravano strutturalmente ai bestiari cristiani, ma usavano la similitudine zoologica per descrivere la fenomenologia amorosa. Il corteo storico del Borgo di Santa Maria Nuova è aperto dai duchi d’Orleans con il loro seguito: compaiono il poeta François Villon, Rinaldo de Dresnay governatore di Asti, Antonio Astesano comandante del castello di Monterainero e Andrea Baiverio nobile di Santa Maria Nuova, attestato tra gli otto consiglieri fidati nel governo della città. Segue la “Court d’Amour”, entro la quale ogni dama reca allegoricamente la simbologia di un animale del bestiario amoroso e un oggetto del simbolismo amoroso: così l’unicorno simboleggia la verginità e per trasposizione la castità, la fiera il coraggio e la furia amorosa di un amante, la volpe l’inganno amoroso, il gallo il canto amoroso, il pavone la prudenza, la colomba la fedeltà. Chiude il corteo il personaggio cardine di questo universo poetico, il “Cavaliere errante” col vessillo d’Amore.
BORGO SAN PIETRO
Asti, tra curtes e città: in compagnia di contadini, mercanti, dame e cavalieri
Asti, la città delle “cento torri”, conserva ancora una gradevole atmosfera medievale. Al suo interno è conservato un patrimonio artistico di rara bellezza, ricco di chiese, torri e caseforti – le cui denominazioni richiamano casati illustri –, di porte e di ampie piazze connotate da armoniose architetture. A testimonianza del nobile e prestigioso passato sono ancora riconoscibili in alcuni tratti le “belle mura nuove” (il recinto dei nobili), erette nel corso del Duecento: fino al 1190 infatti – secondo la testimonianza di Ogerio Alfieri – la città era ancora de sepis clausa, ovvero difesa da strutture mobili di legno e rovi . Nel XIV secolo fu necessario costruire un secondo recinto esterno nella zona meridionale e ad est della città, che sostituì il recinto delle Sepes, per inglobare e proteggere i popolosi sobborghi, ricchi di botteghe artigiane e laboratori manifatturieri sviluppatisi a ridosso di essa. Fu Luchino Visconti ad occuparsi del progetto e della realizzazione, quando, a metà del XIV secolo, fu per breve tempo signore della città. All’interno della duplice cerchia di mura vivono insieme artigiani, contadini, studenti, mercanti, nobili, accattoni, chierici, soldati e prostitute: tutti si incontrano per strada, nelle piazze, nei mercati e nelle botteghe. Ogni giorno, fin dal primo mattino, una gran quantità di persone e merci entra in città attraverso porta San Pietro, le strade cittadine iniziano ad animarsi, animali domestici transitano indisturbati, gli artigiani e i mercanti espongono le loro merci, gran parte delle attività si svolge all’aperto. In strada, come nei mercati di Piazza San Secondo o di Piazza delle Erbe, dove ora sorge Piazza Statuto, si può acquistare ogni genere di prodotti: dal pesce alla carne, dalla verdura al pane, ma anche utensili da cucina, attrezzi, stoffe, calze suolate, mercanzie esposte sui banchi dei mercati o presso le botteghe degli artigiani. Ad animare le strade provvedono poi strilloni pubblici, banditori e messi del Comune, uomini che trattano i loro affari per le vie e le piazze, mercanti che vengono da altre terre. Gli aristocratici, arricchitisi con l’attività commerciale e soprattutto con l’attività di prestito su pegno, si distinguono per lo sfarzo delle vesti e dei gioielli. Risiedono in sontuosi palazzi, le cui torri sono il simbolo del prestigio e della potenza della famiglia. Il corteo rosso verde ripercorre i momenti fondamentali della vita all’interno delle mura cittadine, rappresentando scene della quotidianità astigiana.
BORGO VIATOSTO
E fu così che la Natura incoronò il suo Re
Il Borgo bianco e azzurro, ispirandosi alla decorazione dei capitelli e a un gruppo scultoreo presente nella chiesa di Viatosto, porta in corteo la figura del Leone, emblema del borgo. In Europa, il re degli animali fu a lungo l’orso, ma a partire dal basso medioevo fu soppiantato dal leone, venuto da lontano e preferito dalla Chiesa medievale. Il leone era animale ambivalente, connotato in modo ora positivo, ora negativo. Il corteo rappresenta questi due volti: si apre con la rievocazione della parte oscura dell’animale, tetra e cupa, rappresentata da un re tiranno e malvagio seguito dal popolo privo di speranze. In questa raffigurazione della sua valenza negativa oscura, il leone appare steso sul fianco, con il muso in primo piano e gli occhi chiusi per simboleggiare la morte. La seconda parte del corteo propone, invece, gli aspetti positivi dell’animale, difensore dei deboli e dei credenti, sin dall’antichità associato a doti particolari quali la forza, il coraggio e la potenza. Tra le due nature del leone in epoca tardomedievale finirà per prevalere quella positiva, che nel tempo porterà ad una identificazione del re degli animali con l’immagine del Sovrano ideale, forte e temperante allo stesso tempo. Nella sua connotazione cristiana, il leone è il simbolo di Dio: giusto, misericordioso, coraggioso e generoso. Viene rappresentato di fronte, in primo piano, con gli occhi aperti che infondono fede e ispirazione divina. Per queste sue caratteristiche lo ritroviamo associato alla figura di San Marco: nel suo Vangelo è attestato il maggior numero di profezie espresse da Cristo riguardo alla propria risurrezione, rappresentata proprio dal leone in virtù della sua fortezza. Il borgo Viatosto rappresenta in corteo il popolo in festa, grato per la bontà e la misericordia del suo sovrano.
COMUNE DI MONTECHIARO
La nascita del Monte di Pietà
L’elaborazione teorica che portò alla nascita del Monte di Pietà si deve agli Ordini Mendicanti: sensibili alle istanze del mutato quadro economico e sociale del basso Medioevo, questi guardavano al commercio e soprattutto all’attività di prestito con occhi diversi rispetto alla tradizionale condanna canonica dell’usura, poiché erano consapevoli del diffuso bisogno di denaro dei ceti urbani meno abbienti e dell’esigenza di fornire una risposta a tale necessità. La soluzione offerta dal Monte di Pietà si rivelò in breve vincente: istituzione finanziaria senza scopo di lucro, il Monte si proponeva di erogare prestiti di limitata entità a condizioni favorevoli rispetto a quelle di mercato in cambio di un pegno, che valesse almeno un terzo in più della somma richiesta in prestito. Il primo Monte venne aperto a Perugia nel 1462 e, prima del volgere del XV secolo, grazie soprattutto alla predicazione dei Francescani, le fondazioni si moltiplicarono in tutta Italia. Ad Asti il Monte nacque tardivamente (1572), ma gli Ordinati comunali documentano che già nel febbraio 1485 il Consiglio dei Sapienti aveva nominato una commissione per raccogliere informazioni in merito al Monte da istituirsi ad Asti. È probabile che questa iniziativa si colleghi alla presenza in città del francescano fra’ Domenico da Ponzone, impegnato nella predicazione quaresimale e in un progetto di riforma dei monasteri femminili: infatti più volte in quello stesso periodo il Consiglio torna sulla questione del Monte, anche se alla fine non si giunge a una decisione e occorrerà attendere ancora un secolo prima che in Asti, la città dei “Lombardi” – pionieri del credito a livello europeo –, venga istituito il Monte di Pietà. Il comune di Montechiaro intende descrivere in primo luogo l’attività di prestito, che ad Asti veniva tradizionalmente praticata da chiunque avesse i mezzi per farlo: una dama impegna un gioiello, l’oste due bicchieri di peltro, una popolana la biancheria di casa. Non manca l’Ebreo, che esercita la stessa attività, ma senza averne il monopolio. In un secondo quadro viene rappresentata la predicazione di fra’ Domenico, finalizzata a sollecitare la creazione del Monte di Pietà. Il religioso attira l’attenzione del pubblico: lo ascoltano nobili dame e cavalieri, popolani, religiosi e mercanti, i quali si impegnano a contribuire alla fondazione del Monte.