Foto di Francesco Sciutto - www.francescosciutto.com |
Si conclude oggi la presentazione, a gruppo di tre, dei ventuno temi del corteo storico del Palio 2019.
Tutti e ventuno i temi nei prossimi giorni verranno inseriti anche nell'apposita sezione della pagina del menù "Verso il Palio...2019", così da restare sempre consultabili e a portata di click in qualunque momento.
RIONE SAN SECONDO
San Secondo: la festa, i fuochi e la colomba
L’uso rituale di squarciare l’oscurità con fuochi ed illuminazioni in occasione di particolari ricorrenze è antichissimo e,
nei lunghi secoli che videro le tenebre padrone assolute della notte nelle città medioevali, esso assumeva un chiaro
significato simbolico e apotropaico. Anche in Asti la festa di San Secondo e del Palio, caratterizzata da una forte
dimensione collettiva, aveva nei Fuochi di gioia uno dei suoi momenti culminanti: festa della Vita, invadeva e
sconfiggeva la notte, buia e silenziosa. La tradizione astigiana dei Fuochi è certamente antichissima: a fine Settecento
il cronista Giuseppe Stefano Incisa ricorda come nei tempi antichi la cerimonia dei Fuochi alla vigilia del Palio e della
Festa prevedesse l’abbruciamento sulla piazza del Santo di grandi pire di paglia e fascine chiamate “Farò”. A partire
dal Trecento si diffuse in Italia l’uso della polvere da sparo, presto utilizzata, oltre che per la guerra, anche per creare
effetti speciali luminosi e sonori negli spettacoli e nei riti festivi. Ad Asti nel 1390 un Giovanni Silvestro “magister
bombardarum” è a servizio del governo ducale ed è probabile che già in questo periodo il rogo del “Farò” prevedesse
lo scoppio di rudimentali fuochi d’artificio. Fu proprio grazie alla polvere pirica che, come in altri casi ben
documentati, l’accensione del falò assunse un significato rituale e spettacolare. Non sappiamo a partire da quale
epoca all’accensione si provvedesse mediante la “Colomba”, un razzo a forma d’uccello che dalle finestre del palazzo
comunale, saettando lungo una cordicella andava ad incendiare la catasta in mezzo alla piazza, appiccandole il
fuoco: se prestiamo fede all’ Incisa, che la descrive in dettaglio, questa tradizione si ripeteva “…da cinquecento anni,
se non più”. E’ ancora l’Incisa a riferire come antica tradizione, praticata per cortesia verso la folla degli spettatori,
l’abitudine dei frontisti della piazza e delle principali vie cittadine di porre candele accese e lucerne alle finestre,
dando vita a suggestive luminarie secondo modalità assai diffuse in tutta Italia.
RIONE CATTEDRALE
La Cattedrale e i suoi santi.
Il coro ligneo di Baldino da Surso Verso la seconda metà del XV secolo i canonici del Capitolo della Cattedrale, grazie anche all’appoggio delle ricche famiglie del Rione, decisero di avviare una serie di importanti lavori di decorazione all’interno della fabbrica del Duomo. Tra questi, di grande rilievo fu senza dubbio la costruzione di un nuovo e imponente coro ligneo da collocarsi nel presbiterio per ospitare i religiosi durante le celebrazioni liturgiche. I canonici, intenzionati a lasciare ai posteri un’opera che desse lustro alla Cattedrale e rispecchiasse il loro potere, commissionarono la sua realizzazione al pavese Baldino da Surso, importante artista ebanista attivo in quegli anni in area piemontese. Il progetto si presentava decisamente imponente e prevedeva la costruzione di un coro diviso in due ordini, tale da ospitare poco più di sessanta religiosi: l’ordine superiore, il più spettacolare, si componeva di trentasei sedute i cui dossali, intagliati a bassorilievo, raffiguravano altrettanti santi, uno per ogni prebenda posseduta dal Capitolo. Visto l’impegno che tale commissione avrebbe richiesto, Baldino, probabilmente in età avanzata, fu affiancato nel lavoro da un artista di formazione nordica il cui nome è rimasto fino a oggi sconosciuto. Alla mano di questo abile ebanista, caratterizzata da panneggi secchi e spigolosi tipici di una cultura “tedescheggiante”, si devono diciotto dei dossali oggi sopravvissuti: tra questi spicca senza dubbio quello raffigurante San Secondo d’Asti, rappresentato mentre regge con una mano il modello della città. Purtroppo perduto, ma attestato da documenti del XVI secolo, il dossale raffigurante la titolare della Cattedrale, l’Assunta. Nel coro ligneo si alternano pertanto due mani differenti che, seppur appartenenti a culture diverse - quella tardo gotica lombarda di Baldino e quella d’Oltralpe dell’anonimo -, si fondono in un’opera unica di grande pregio artistico. Nel 1477, un anno prima di morire, Baldino termina il lavoro, lasciando sul coro la sua firma ancora oggi visibile. L’arredo, rimosso dalla Cattedrale nella seconda metà del XVIII secolo a seguito dell’ampliamento del presbiterio, è oggi ammirabile presso il museo diocesano San Giovanni. Il rione Cattedrale intende rievocare la nascita e la realizzazione di questo importante capolavoro dell’arte astigiana, riportando in vita coloro che si impegnarono nella sua realizzazione: i canonici, i nobili del Rione ma soprattutto i due grandi artisti del legno, Baldino e l’anonimo nordico, accompagnati dai santi da loro scolpiti.
Il coro ligneo di Baldino da Surso Verso la seconda metà del XV secolo i canonici del Capitolo della Cattedrale, grazie anche all’appoggio delle ricche famiglie del Rione, decisero di avviare una serie di importanti lavori di decorazione all’interno della fabbrica del Duomo. Tra questi, di grande rilievo fu senza dubbio la costruzione di un nuovo e imponente coro ligneo da collocarsi nel presbiterio per ospitare i religiosi durante le celebrazioni liturgiche. I canonici, intenzionati a lasciare ai posteri un’opera che desse lustro alla Cattedrale e rispecchiasse il loro potere, commissionarono la sua realizzazione al pavese Baldino da Surso, importante artista ebanista attivo in quegli anni in area piemontese. Il progetto si presentava decisamente imponente e prevedeva la costruzione di un coro diviso in due ordini, tale da ospitare poco più di sessanta religiosi: l’ordine superiore, il più spettacolare, si componeva di trentasei sedute i cui dossali, intagliati a bassorilievo, raffiguravano altrettanti santi, uno per ogni prebenda posseduta dal Capitolo. Visto l’impegno che tale commissione avrebbe richiesto, Baldino, probabilmente in età avanzata, fu affiancato nel lavoro da un artista di formazione nordica il cui nome è rimasto fino a oggi sconosciuto. Alla mano di questo abile ebanista, caratterizzata da panneggi secchi e spigolosi tipici di una cultura “tedescheggiante”, si devono diciotto dei dossali oggi sopravvissuti: tra questi spicca senza dubbio quello raffigurante San Secondo d’Asti, rappresentato mentre regge con una mano il modello della città. Purtroppo perduto, ma attestato da documenti del XVI secolo, il dossale raffigurante la titolare della Cattedrale, l’Assunta. Nel coro ligneo si alternano pertanto due mani differenti che, seppur appartenenti a culture diverse - quella tardo gotica lombarda di Baldino e quella d’Oltralpe dell’anonimo -, si fondono in un’opera unica di grande pregio artistico. Nel 1477, un anno prima di morire, Baldino termina il lavoro, lasciando sul coro la sua firma ancora oggi visibile. L’arredo, rimosso dalla Cattedrale nella seconda metà del XVIII secolo a seguito dell’ampliamento del presbiterio, è oggi ammirabile presso il museo diocesano San Giovanni. Il rione Cattedrale intende rievocare la nascita e la realizzazione di questo importante capolavoro dell’arte astigiana, riportando in vita coloro che si impegnarono nella sua realizzazione: i canonici, i nobili del Rione ma soprattutto i due grandi artisti del legno, Baldino e l’anonimo nordico, accompagnati dai santi da loro scolpiti.
COMUNE DI MONCALVO
“Sicut fieri solet Ast, in festo beati Secundi”: il trionfo del forestiero.
Le corse dei cavalli e le gare equestri sono un'usanza del mondo comunale e possono includersi fra gli onori e gli atti devozionali resi da una comunità al santo patrono. La corsa del Palio, nell’Asti medievale – così come in età moderna –, era posta sotto l’egida del glorioso San Secondo, la cui festa era vissuta con gran fervore dalla collettività. In città giungevano a dar spettacolo i più valorosi cavalieri, per sfidarsi in destrezza e coraggio. Questo almeno fino al 1479, quando, a causa della vittoria di un forestiero e della conseguente irritazione degli Astigiani, venne impedito agli stranieri di prendervi parte, limitazione che sarebbe rimasta in vigore nei successivi due secoli. Il Comune di Moncalvo, per celebrare il successo dello scorso anno, vuole rappresentare l’ipotetico momento in cui un intero popolo affida le proprie sorti al suo corsiero e al suo paggio, ne celebra le qualità fisiche e morali e invoca l’intercessione dei santi protettori. Sfila il trionfo in cui Moncalvo è allegoricamente rappresentato da un cavaliere, bello e fiero, incoronato d’alloro e dal lungo manto, simbolo di vittoria e d’abbondanza, e circondato da quattro dame a raffigurare altrettante virtù: audacia, astuzia, forza e perseveranza. È quindi proposta l’immagine del pentagono, simbolo di aspirazione alla perfezione, i cui cinque vertici ricordano le vittorie del 1988, 1989, 1994, 1995 e 2018. Segue il carro con l’allegoria di Calliope, musa del canto epico e delle gesta eroiche, sotto il cui nome ha corso il destriero vincitore del Palio 2018. Calliope, seduta davanti al sendallo conquistato, è circondata dai possenti torrioni di Moncalvo, emblema della cittadina aleramica, ai cui piedi riposa serenamente il cavaliere, il “guerriero”, stanco ma felice per la sua impresa. Chiude un corteo di nobili, donne e uomini che portano il bacile con l’offerta del fantino e i bindelli, nastri colorati esibiti per proclamare la propria appartenenza al comune vincitore e che, in occasione della vittoria, sono donati alle maggiori personalità cittadine. Non mancano anche trionfi di pane, vino e cibi da condividere all’interno della comunità vincitrice.