Per il Comune di Tanaro, il rettore Maurizio Rasero ha scelto Marco Dal Rovere.
Marco, racconta come sono stati i tuoi inizi nel mondo del Palio e nel tuo comitato?
Sono entrato nel palio da tamburino. Mi sono battezzato nel 1981 e poi pian piano, dal gruppo sbandieratori sono entrato nel comitato. A Tanaro ho svolto qualsiasi carica, da quei giorni ad oggi, l'unico ambito in cui son rimasto fuori è la sfilata.
Cosa rappresenta per te la tua appartenenza a Tanaro?
Tanaro è un paese nel città: si condividono momenti belli e momenti tristi. I lutti, l'alluvione del 1994, tutte le vicissitudini della vita servono a creare un legame tra di noi. Un legame che inizia sui banchi di scuola, continua nelle squadre dove hai militato da giovane, e si ritrova tutti gli anni, in occasione del Palio. E' un modo per ritrovarsi, per stare insieme, e anche per vedere vecchi amici che non vedi da tanto tempo.
Vincere il Palio: cosa significa questa emozione?
Il ricordo più bello l'ho avuto forse nel 1990: allora facevo il tamburino, e vidi in mio padre un'euforia che non pensavo potesse esistere. E la gente tantissima, che ci aspettava là dove ora c'è la rotonda di corso Savona: ci aspettava a Tanaro, sul nostro territorio. Vincere il Palio è portare a casa il drappo, tenerlo nella nostra chiesa, sentirlo a casa nostra. E poi il ricordo del 2010, quando un nostro amico scomparve qualche tempo prima: sapere che nel Palio c'è un filo ininterrotto tra passato, presente e futuro.
LA CORSA
Arriva Bruschelli, e già questo mette in pole position i fluviali. Che Tanaro poi voglia correre per vincere quest'anno, si è capito già da parecchi mesi. I cavalli al vaglio sono un paio, entrambi competitivi.Si fa sul serio
IL CORTEO
Grazie a questo investimento il Tanaro assumeva una centralità nuova nella vita economica e commerciale della città. Gli approdi fluviali tornarono ad essere luoghi di commercio, ove cercare stoffe, spezie e prodotti alimentari, vi trovarono spazio il mercato del pesce, l’attività delle lavandaie e i frutti della fatica dei contadini.
Ma il fiume poteva essere anche teatro dell’amministrazione della giustizia: negli ordinati comunali di fine XIV secolo si legge che la pena per i bestemmiatori consisteva nell’essere calati con una corda dal ponte del Tanaro nelle acque del fiume sino a che non ne venivano completamente sommersi.