venerdì 5 settembre 2014

Aspettando il Palio 15) Don Bosco ... tre domande a Denis Guazzo




Per il Borgo Don Bosco, la rettrice Maddalena Spessa ha scelto Denis Guazzo



Denis racconta come sono stati i tuoi inizi nel mondo del Palio e nel tuo comitato?

I miei inizi all'interno del mondo del Palio sono legati all'Asta, poi, spostandomi all'interno del gruppo del Don Bosco, ho iniziato a fare strada all'interno del Comitato, fino ad arrivare alla carica di viecerettore. Per me il Palio rappresenta innanzitutto l'appartenenza al mio rione, e anche alla mia città, Asti

Cosa rappresenta per te la tua appartenenza a Don Bosco?

E il borgo dove sono cresciuto, dove ho frequentato l'oratorio: per me quella del Don Bosco è una passione che è cresciuta anno dopo anno, e ora che sono arrivato ai quarant'anni, sto trasmettendo ai miei figli. Questo penso sia il Palio, qualcosa di bellissimo che si trasmette generazione dopo generazione.

Vincere il Palio: cosa significa questa emozione?

Ormai siamo diventati maggiorenni, è stato 18 anni fa. Il ricordo più bello lo conservo con chi è ancora all'interno del nostro comitato, Franco, Gerry, Maddalena. Ora spero che al più presto anche i miei figli possano vivere la stessa emozione con me.

LA CORSA

Don Bosco si affida al Fais, con un cavallo sicuramente di fascia alta. In questi ultimi anni il borgo della parte nord della città ha affinato sempre di più i suoi risultati, e il soggetto in scuderia può essere anche in grado di regalare piacevoli sorprese.

Un cavallo che può far bene    


IL CORTEO




Il “Distirictus Civitatis”, allegoria di un dominio territoriale


A partire dal XIV secolo le grandi famiglie magnatizie astigiane iniziarono sistematicamente ad investire i ricchi proventi dell’attività bancaria secondo strategie di insignorimento territoriale, acquistando dal Comune la giurisdizione di numerosi villaggi e castelli ad esso appartenenti. Tali iniziative, benché formalmente non mettessero in discussione l’integrità della “patria astese” e i diritti della dominante, di fatto sottraevano alla “res publica” quote importanti di giurisdizione e alle casse comunali rilevanti introiti ed emolumenti ad essa collegati. Per ovviare almeno in parte ad un fenomeno che sembrava dolorosamente inarrestabile, Asti, nel corso del Trecento, elaborò e definì il concetto di “Districtus Civitatis”: una parte del territorio che, sulla base di rigide norme statutarie e legali, doveva rimanere sotto l’inalienabile e diretto dominio della Città.
Tale ripartizione assunse definitiva forma giuridica sotto la signoria di Gian Galeazzo Visconti: essa comprendeva i villaggi a corona della Città che ancora oggi costituiscono il suo territorio comunale, nonché una serie di comuni confinanti per un raggio di circa dieci chilometri. Tutte le terre del districtus dovevano essere governate da un podestà nominato annualmente da Asti e scelto in seno al Consiglio Generale della Città; la diretta dipendenza dalla “capitale” prevedeva inoltre una serie di oneri fiscali, tributari e legislativi. E' del 1385 la prima completa elencazione delle "ville" che costituivano il Distretto. Esse erano le attuali frazioni di Serravalle, Sessant, Mombonino, Variglie, Castiglione, Quarto, Montemarzo, San Marzanotto, Bellangero e i comuni di Cinaglio, Camerano, Antignano, Celle Enomondo, Tigliole, Baldichieri, Villafranca, Cantarana, Azzano, Mongardino, Vigliano, Isola d’Asti, Montegrosso d’Asti, Portacomaro, Scurzolengo e Castell’Alfero. Con poche variazioni territoriali, il dominio sul Distretto cittadino, una vera e propria "area metropolitana" ante litteram, fu a lungo gelosamente e caparbiamente difeso da Asti, che intravvedeva in esso l'irrinunciabile baluardo delle sue residue libertà comunali ed un importante presupposto di prosperità economica e di prestigio urbano. Del “Districtus Civitatis” ebbero ragione solo le politiche accentratrici ed assolutistiche dei Savoia, che a partire dal 1618 ne provocarono il progressivo smantellamento .