giovedì 4 settembre 2014

Aspettando il Palio 13) San Martino San Rocco ... tre domande a Lalla Gerbi



Per il Rione San Martino San Rocco, il rettore Daniele Bruzzone ha scelto Lalla Gerbi, borghigiana bianco verde da tantissimi anni e già vicerettrice.


Lalla racconta come sono stati i tuoi inizi nel mondo del Palio e nel tuo comitato?

Se devo avere un ricordo del Palio, sono le alzate mattutine e le ore di lavoro interminabili fatte nel mio negozio per acconciare le damigelle bianco e verdi. Per me il Palio è sempre iniziato presto, ma le levatacce sono state ripagate dall'orgoglio e dalla gioia di vedere le mie "creazioni" in sfilata.

Cosa rappresenta per te la tua appartenenza al Borgo San Martino San Rocco

Per me San Martino San Rocco è tutto: è il borgo dove ho lavorato una vita, e dove ho trovato grandi amici. Purtroppo molti di questi non ci sono più, e le vie si sono svuotate dei volti che lo hanno caratterizzato per tanti anni. Per fortuna ora c'è un gruppo di giovani che si dà molto da fare: io cerco, per quello che posso, di dargli qualche consiglio, come una "mamma".

Vincere il Palio: cosa significa questa emozione?

Ho vissuto questa gioia tre volte: due volte negli anni '80 e l'ultima, nel 2012. Anche se è passato tantissimo tempo da una volta all'altra l'emozione è sempre quella, grandissima ed immensa. Pensi che io non ho mai visto il Palio in piazza. Guardo la sfilata, poi quando arriva la batteria con San Martino scendo in strada con il cane, in un silenzio irreale. E' mio marito ad informarmi di come è andato il mio borgo. E fu così anche quella volta,. l'ultima nel 2012


LA CORSA

San Martino San Rocco presenta quest'anno Bucefalo, che molto probabilmente porterà un cavallo veterano della piazza. A chi dice che il "Buce" è ormai in età pensionabile, basta ricordare che le stesse cose venivano dette il 14 settembre del 2012, e dopo tre giorni la "Burgà d'ji lader" vinceva il Palio. Insomma, finché i cavalli del Buce calcheranno la terra di piazza Alfieri, non c'è da stare tranquilli.


Si affida all'esperienza     


IL CORTEO




Le lusinghe dei sette vizi capitali

La cultura del medioevo è attraversata dal tema del peccato: gli uomini e le donne sono continuamente minacciati dalle insidie del diavolo tentatore che instilla nel loro animo le stesse lusinghe e gli stessi dubbi con cui ha sedotto i progenitori Adamo ed Eva.
Inizialmente i vizi erano otto, poiché comprendevano anche la vanagloria, che successivamente venne assorbita nel peccato di superbia: si passò così al settenario dei vizi capitali, del quale Enrico di Susa propose una nuova successione, dal più grave al meno grave, facilmente memorizzabile con l'acronimo delle loro iniziali, SALIGIA (Superbia, Avarizia, Lussuria, Invidia, Gola, Ira e Accidia).
Il ruolo di capostipite di tutti i vizi conferito alla superbia ribadisce l'analogia tra il peccato di Adamo e le colpe che gli uomini commettono quotidianamente.
I sette vizi venivano spesso raffigurati sulle mura di pievi, chiese e cappelle per poter esser visti da tutti e fungere da monito e da invito alla penitenza: le pitture erano infatti immediatamente comprensibili per il cuore e la coscienza dei semplici, che ignoravano la scrittura.
Tipico dell'arco alpino occidentale e in particolare del Piemonte e della Liguria è il tema della cavalcata dei vizi in cui sette personaggi, che li simboleggiano, cavalcano altrettanti animali, simbolo degli stessi vizi, trascinati da una lunga catena tirata da figure diaboliche verso le fauci spalancate di un drago, che rappresenta la bocca dell'inferno.
Gli Astigiani non erano certo indenni dalle lusinghe dei vizi: essendo impegnati nel mercato del prestito sovente rischiavano di incorrere nel peccato di usura, primogenito dell'avarizia, tanto che la preoccupazione e talvolta il pentimento li portavano a risolvere, in punto di morte, i loro scrupoli morali con donazioni in restituzione del "maltolto".
L'ostentazione da parte delle nobili famiglie delle proprie ricchezze era sicuramente segno di superbia, così come le irose lotte intestine tra casate, che portavano addirittura all'abbassamento delle torri della parte soccombente, erano dettate dall'invidia e dalla sete di potere, mentre la lussuria e la gola certamente animavano le notti della città.