martedì 21 maggio 2013

I temi del Corteo Storico (2)


BORGO SAN MARZANOTTO




Dai conventi alle botteghe: l’arte della miniatura, del ricamo e dell’arazzo

Le comunità religiose femminili, particolarmente numerose anche ad Asti, fin dall’alto Medioevo 
offrivano alle donne un ambiente favorevole per esprimere le loro doti artistiche. Nei conventi 
infatti le religiose, oltre che ricoprire il ruolo di amministratrici e insegnanti, erano impiegate come 
bibliotecarie, scribe ed amanuensi. 
Sono noti alcuni manoscritti copiati da donne che si erano ritirate nei monasteri e trasfondevano 
nella miniatura quelle capacità che per ragioni sociali non potevano manifestare nella pittura su 
tavola e ancor meno nell’affresco. 
Particolarmente importanti furono, a partire dal X secolo, i ricami di indumenti liturgici che 
venivano eseguiti con colori vivaci, impreziositi da smalti, perle, gemme lucenti su uno sfondo 
intessuto d’oro e di seta. Altrettanto diffusa era la tessitura di arazzi e stoffe.
A partire dall’XI secolo fecero la loro comparsa anche ricamatrici professioniste non legate ai 
monasteri. Dalla fine del Duecento crebbe la domanda di beni di lusso e si andarono formando 
centri di produzione di manufatti di notevolissimo pregio. Nacquero botteghe, veri e propri atelier,
dove il maestro era affiancato da numerose maestranze che non di rado eseguivano i lavori su 
disegno di pittori.
Oltre alla fortissima richiesta di paramenti e vesti liturgiche ricamate da parte degli ecclesiastici di 
alto rango, si diffuse la moda di abiti ed ornamenti ricamati per le grandi occasioni, soprattutto per i 
matrimoni nobiliari; anche i ceti più modesti non si facevano mancare, quando era possibile, 
almeno un vestito ricamato. 
Il gusto per il ricamo non si rivolgeva soltanto agli addobbi liturgici o agli abiti principeschi, ma a 
tutto ciò che poteva essere ornato: dalle borse alle cinture, ai tessuti d’arredamento e soprattutto ai 
“completi da camera”, a partire dal “capocielo”, e all’insieme di tendaggi posti a protezione del 
letto, che addobbavano lussuosamente con tessuti di seta e d’oro e con arazzi le camere di dimore 
signorili e principesche, dispiegandosi in abbondanti drappeggi coordinati con le coperte ed i 
cuscini. 


BORGO SAN PIETRO





Lo zodiaco e le influenze delle armonie cosmiche sull’ uomo e sull’ universo.


I simboli zodiacali del fastoso cornicione di Palazzo Catena, costituito da formelle in cotto 
simulanti archetti trilobi, restano a testimoniare, unicum nel panorama decorativo 
astigiano, come anche nella nostra città , nel basso Medioevo, fosse diffusa la
convinzione dell’influenza degli astri sulla vita e sulle attività degli uomini, sugli elementi 
e sulle stagioni; la conoscenza delle armonie stellari era, inoltre, considerata 
determinante per comprendere i caratteri psico-fisici delle persone e i loro stati d’animo. 
Sulla base della coincidenza tra il numero degli Apostoli e quello dei segni zodiacali, 
questi ultimi furono interpretati in senso cristiano così che, divenuti simboli della fede, 
vennero raffigurati attorno alla figura del Cristo (Signore del cosmo e del tempo), mentre 
la produzione di calendari illustrava la loro sequenza stagionale. 
L’uomo diventava così un microcosmo a immagine e somiglianza del macrocosmo divino, 
gli astri in base alle disposizioni zodiacali potevano influenzare il corpo e la mente e 
l’astrologia si affermò come forma di conoscenza capace di dare spiegazione alla vita, alla 
psiche e all’anima, utile a comprendere la verità del reale e a divinare il destino. 
Una certa confusione tra astrologia e astronomia assimilava – quanto meno a livello 
popolare – la figura dell’astrologo a quella dell’astronomo: l’astrologo compilava le 
“effemeridi”, tavole che riportavano le posizioni dei pianeti giorno per giorno, 
stabilendone così gli influssi, mentre la cosiddetta “astrologia giudiziaria” aveva compiti 
di divinazione. L’astronomo invece, utilizzando l’astrolabio, localizzava e calcolava la 
posizione dei corpi celesti. 
Presente presso le corti, non esclusa quella papale, l’astrologo spesso esercitava 
un’influenza determinante in scelte politiche e decisioni operative. In secoli in cui la 
scienza si andava lentamente e faticosamente affrancando dalle pratiche magicoesoteriche era facile lasciarsi sedurre dal fascino di conoscenze occulte: come testimonia 
la vicenda Fra Filippo di Revigliasco, cavaliere gerosolimitano, che dapprima si occupò di 
astrologia, negromanzia e scienze alchemiche, mentre in seguito ricusò totalmente questi 
interessi per morire in fama di santità.

RIONE SANTA CATERINA






La mazzochiaia e l’arte di esaltare la vanità femminile nell’acconciare i capelli

“Una testa per il giorno, una per la notte, una per le feste civili, una per le cerimonie 
religiose, una per stare in casa, una per uscire e una per gli estranei…” 
Così scriveva Stefano di Bordone, inquisitore domenicano del XIII secolo, condannando la 
civetteria femminile che, in ogni tempo della storia e in ogni luogo della terra, si è espressa 
con il vezzo di acconciare i capelli, creare copricapi di fogge e dimensioni diverse e ricercare 
ornamenti per il capo allo scopo di esaltare la bellezza.
Nel XV secolo l’arte di adornare il capo assume la valenza di un vero e proprio codice 
comunicativo che esprime il ceto di nascita e, per la donna, anche lo stato civile, rendendo 
manifesta la sua dipendenza da un padre, da un fidanzato o da un marito.
Anche le nobildonne astigiane, si adornano con copricapi confezionati con tessuti preziosi, reti 
gemmate e veli impalpabili dalle trame dorate. Si usano ghirlande di fiori freschi, di piume, di 
velluto per rifinire un’acconciatura, reticelle d’oro e innumerevoli fili di perle per raccogliere 
graziosamente folte chiome. Ne dà testimonianza Gugliemo Ventura, descrivendo le donne dei 
Guttuari all’apice della potenza della famiglia: “ belle furono le loro mogli … le loro teste 
erano coperte di preziosissimi gioielli”. 
La capigliatura deve essere sempre e comunque “ben acconciata”: nessuna donna per bene 
può permettersi di uscire di casa né di presentarsi in pubblico con i capelli sciolti sulle spalle, 
fatta eccezione per le bambine.
Questa grande attenzione all’estetica del capello dà origine, verso la fine del Medioevo, ad una 
professione – sia femminile, la mazzocchiaia, sia maschile, il maestro a far mazzocchi (dalla 
denominazione di una imbottitura da nascondere e fissare tra i capelli per aumentarne il 
volume) – che molto successo avrebbe riscosso nei secoli a venire fino ai giorni nostri.
Il corteo rosso celeste propone figure femminili che, diverse per censo ed età, sfoggiano 
acconciature, curate dalle mani esperte della mazzochiaia, che esaltano la loro bellezza e 
vanità …

RIONE CATTEDRALE





La famiglia Alfieri Tra origini leggendarie e avvenimenti storici

Nel secentesco Compendio Historiale della città di Asti di Guidantonio Malabaila si 
narra come, durante la difesa di Roma contro i Goti, l'astese Arricino Moneta 
riuscisse a recuperare l’insegna romana dell’Aquila, caduta in mani nemiche. Per 
questo eroico gesto egli avrebbe ottenuto l’appellativo di Alfiere e il diritto di 
fregiarsi dell’insegna dell’Aquila. 
E’ tradizione che Arricino Moneta, mitico capostipite degli Alfieri - che da quel 
remoto evento avrebbero tratto nome e insegna -, sia raffigurato in una lapide 
all’interno della Cattedrale: questa mostra un uomo a cavallo di un destriero, sulla 
cui gualdrappa sono raffigurati due scudi con il simbolo dell'aquila imperiale. 
Gli Alfieri, una delle principali famiglie della nobiltà astigiana, devono la loro ascesa 
sociale al prestito su pegno, esercitato nelle cosiddette ‘casane’, ed al commercio. Il 
raggio di azione delle attività economiche di questa famiglia fu molto vasto: nel 
Duecento gli Alfieri operano con grande successo in Borgogna, in Savoia a Friburgo 
e nei Paesi Bassi ove si dedicano al commercio, ma soprattutto alle attività creditizie. 
Contestualmente altri membri curano gli interessi di famiglia nel territorio astigiano, 
annoverando tra la propria clientela istituzioni di primo piano quali il Capitolo della 
Cattedrale di Asti. 
Alla famiglia Alfieri, sempre presente nella vita pubblica astigiana, appartennero 
personaggi di rilievo nella politica cittadina del basso medioevo: basti citare 
Guglielmo Alfieri, credendario, sapiente e ambasciatore, Ogerio Alfieri responsabile 
dell'archivio comunale e redattore della famosa Cronica, Bertramino Alfieri, uno dei 
14 savi che approvarono lo statuto della società dei Militi: numerosi furono i 
magistrati, gli uomini d’arme, gli ambasciatori. 
Il corteo del rione Cattedrale ha come protagonista questa ricca e nobile famiglia 
che ha contribuito a rendere grande Asti nel medioevo.


BORGO DON BOSCO




Nuove eroine per l'immaginario medievale


Se nel 1312 Jacques de Longuyon, nel suo Voeux du paon, elaborò per la prima volta il 
ciclo dei “Nove Prodi” per celebrare le virtù e gli ideali del mondo cavalleresco, nel 1373 il 
parigino Jehan Le Fèvre ne definì l’esatto contraltare femminile, destinato ad avere 
un’enorme fortuna sia in campo letterario sia in quello delle arti figurative. In un periodo 
di dominante misoginia, scrisse il Livre de Lëesce per dimostrare come le donne siano più 
audaci, coraggiose e virtuose degli uomini. Ispirandosi a romanzi antichi e al De claris 
mulieribus di Giovanni Boccaccio, ad imitazione speculare dei “Nove prodi” compilò un 
catalogo di nove eroine leggendarie che rappresentavano una visione cortese e 
cavalleresca della mitologia e della storia antica. Tale catalogo fu prontamente ripreso da 
Eustache Deschamps, da Christine de Pizan e da Tommaso di Saluzzo, diventando fonte 
d’ispirazione per straordinari capolavori nell’ambito della cultura artistica del Gotico 
internazionale. Ad esempio, già nel 1396 Luigi d’Orléans signore di Asti commissionava il 
ciclo delle Nove Eroine per il salone del castello di Pierrefonds, e nel 1399 fece realizzare 
statue monumentali di analogo soggetto per decorare la facciata del castello di La Ferté-
Milon. Se il ciclo dei Nove Prodi rappresentò l’apoteosi dell’ideologia cavalleresca, quello
delle Nove Eroine tentò di arginarne la crisi culturale. Alla fine del Trecento la cavalleria, 
ormai decaduta dal suo ruolo militare, vide messi in discussione anche i suoi ideali 
‘maschilisti’ e reagì al declino rifugiandosi nella fantasia e nel sogno, con una fuga dalla 
realtà a cui le donne furono invitate a partecipare da protagoniste e non più da semplici 
gregarie. Il ciclo prevedeva nove regine: Semiramide sovrana di Babilonia, indomabile 
guerriera e inventrice dei giardini pensili; Tamaris, regina dei Massageti, che sconfisse e 
uccise in battaglia Ciro re dei Persiani; Teuca, regina degli Illiri, che morì lottando contro i 
romani per preservare la libertà del suo popolo; Deifila, moglie del re di Argo che 
sconfisse la potente Tebe. Ad esse si aggiungono le inquietanti figure delle cinque regine 
delle Amazzoni: Sinope, Ippolita che combatté contro Ercole, Antiope amante di Teseo, 
Lampeto e Pentesilea alleata dei Troiani contro i Greci e morta per mano di Achille.

COMUNE DI CANELLI





Gli Scarampi signori di Canelli

La famiglia degli Scarampi è una delle più antiche del patriziato astese. 
Esercitò un’intensa attività creditizia della quale si avvalsero i conti sabaudi dal 1297 al 1381 ; ricevette, 
inoltre, privilegi commerciali dai Re di Francia e di Navarra che considerarono gli Scarampi “burgenses” e 
non “stranieri”. Rimasero tuttavia legati alla proprietà fondiaria e furono destinatari di investiture di feudi,  da parte sia del Comune o dei Signori di Asti, sia del Marchese del Monferrato, sia dei Savoia. 
Dal 1329 feudatari di Vinchio, Montaldo e Mombercelli, più tardi furono investiti di Cortemilia, Canale,  Olmo, Roccaverano, Bubbio, San Giorgio, Monastero, Cairo, Proney, fregiandosi anche del titolo di  marchesi.
Nel 1462 agli Scarampi è assegnato in feudo dal Duca Carlo d’Orléans, discendente dei Visconti-Orléans,  Signore di Asti, “Villa et locum et posse Canellarum Patriae Astensis” (città, territorio e possedimenti di  Canelli d’Asti). 
Vivo, forte ed interessante sarà il legame culturale del Duca, alta espressione della poesia rinascimentale  francese, e della corte orléanese, con esponenti femminili degli Scarampi. 
La nobile famiglia eccelleva, dunque, non solo sul piano commerciale, ma anche per sensibilità culturale. Fin  dal XIII secolo, inoltre, fu molto attiva nella vita politica: Guglielmo fu Podestà di Genova nel 1264, Filippo  fu sostenitore acceso del ghibellinismo in Asti all’inizio del Trecento, Francesca Maria, contessa di Canelli,  sarà tesoriera e successivamente (1610) governatrice di Asti, agendo con diplomazia e determinazione in  coerenza con il motto araldico della famiglia: “ Modus et ordo” (capacità e ordine).
Il Comune di Canelli rievoca l’omaggio di benvenuto ai nuovi feudatari preceduti nel corteo dalle chiavi della  Città e dalla bolla di dedizione e seguiti dal popolo che offre i prodotti del proprio lavoro, con doviziosi  omaggi. Secondo il rituale, i doni simbolici agli Scarampi seguono, nella presentazione offertoriale, un ordine  propiziatorio: il pane ed il sale dell’ospitalità, le pregiate uve delle colline, il bianco vino apprezzato alla  corte di Francia, cesti di prodotti dell’orto, tessuti e ricami con le insegne. Il tutto come augurio di buon  governo e di prosperità per il popolo.

COMUNE DI MONTECHIARO





1381: Patti tra Montechiaro e Gian Galeazzo Visconti

Il 24 aprile 1381 ad Asti nel palazzo dei Troya, sede del capitano Gaspardo de Ubaldinis vennero 
stipulati patti e convenzioni tra il comune di Montechiaro e il plenipotenziario di Gian Galeazzo 
Visconti signore di Asti, Jacopo Dal Verme. 
Tali patti, fortemente connotati in senso anti-astigiano, erano articolati in 29 capitoli che 
prevedevano, tra l’altro, l’amnistia per i banniti – i destinatari di un provvedimento di esclusione 
dalla comunità – e significative agevolazioni fiscali. Agli abitanti di Montechiaro fu concesso, 
inoltre, di rivedere il proprio catasto, di solvere fodro et talea dicto comuni Monteclaro, cioè di 
trattenere gli introiti fiscali anziché corrisponderli agli Astigiani, in chiara contrapposizione con 
quanto prescritto degli Statuti di Asti; agli ufficiali sia viscontei , sia astigiani fu vietato di 
imporre pedaggi ai mercanti che si fossero recati a Montechiaro in occasione della fiera. 
Il corteo storico bianco-celeste vuole rappresentare alcuni dei personaggi citati nel documento: 
Jacopo Dal Verme delegato da Gian Galeazzo Visconti, il capitano Gaspardo de Ubaldinis, il 
podestà di Montechiaro, i referendari, i rappresentanti del comune di Montechiaro che trattarono 
con il plenipotenziario visconteo, i banniti, il notaio, le dame e infine i portacolori.